Una canzone all’organizzazione dei lavoratori

Una canzone all’organizzazione dei lavoratori
Una canzone all’organizzazione dei lavoratori

La mostra del gruppo di artisti visivi Mondongo (Juliana Laffitte e Manuel Mendanha) al Malba è un inno all’organizzazione dei lavoratori. Partendo da un esercizio di visibilità delle città e da un’apparente impossibilità di uscita, propone un percorso: organizzarsi e lottare. La mostra presenta le contraddizioni della realtà sociale sotto il capitalismo, così come della pratica artistica, facendosi carico sia dei limiti che del potenziale dell’arte di intervenire nella trasformazione della realtà.

Il “gioiello” della mostra è una versione contemporanea di “Manifestación” di Antonio Berni, collocata a Buenos Aires, intorno a Plaza de Mayo. L’opera colpisce per la sua esecuzione, dato che tutto il colore è steso con la plastilina, condensando 20 anni di sperimentazione di Mondongo con quel materiale. Allo stesso tempo, è un dipinto in altorilievo, ogni manifestante ha un volume, basato sulla modellazione digitale di foto scattate nel suo studio e stampate in 3D. Solo questo vale la visita, ma la mostra è molto più dell’enorme tecnica di Laffitte e Mendanha.

Pur essendo presentato come un omaggio a Berni, collega due icone della cosiddetta “pittura sociale” argentina: “Senza pane e senza lavoro”, dipinta nel 1890 da Ernesto de la Cárcova e la già citata “Manifestación” di Berni, del 1934, dove una mobilitazione popolare reclama, appunto, pane e lavoro. Inoltre, dialoga con i dipinti, le incisioni e i collage di Berni sulle ville del Rosario e con il suo personaggio archetipico Juanito Laguna, un bambino composto da rifiuti urbani e industriali, presentato come “scarto” per il capitale.

Sebbene i pezzi siano pochissimi, la mostra è un labirinto, spaziale e tra strati di rappresentazione. Ad esempio, ricreano il dipinto di De la Cárcova con metodi e temi di Berni (la villa e i materiali di scarto) e collegano le immagini dell’inizio e della fine del viaggio, attraverso innumerevoli dettagli. La mostra è organizzata in due grandi spazi, un’installazione che ricrea una villa, piena zeppa di cose, e una stanza molto buia di 21 metri dove sono esposti solo tre dipinti: l’opera originale di Berni, “Manifestazione”; sulla parete opposta, la versione di Mondongo e, tra loro, “Villa II”, della serie Sur Global, un dipinto circolare che presenta anche una villa, in plastilina, con molti cenni a Berni e risonanze sia degli insediamenti argentini che delle favelas .

I due settori si contrappongono come il paese di Malba. Tra i due spazi si trova un’opera enigmatica e circolare che sembra un portale verso un’altra dimensione, come un wormhole, dove i muri di mattoni a vista si muovono a spirale con vetri rotti in alto, come quelli posti sui muri di partito. Al centro del cerchio c’è un contatore che ricomincia sempre da capo e ad ogni ripetizione ci dice: Ciao. La sensazione è angosciante, stiamo sprofondando in un mondo di proprietà privata, segregazione, esclusione. Ti viene voglia di schiacciare i mattoncini di plastilina e modellare qualcos’altro.

Nel primo settore il pubblico entra in una riproduzione di una villa, i cui soffitti sono visibili dai piani superiori del museo, scandalizzando i critici conservatori che accettano un dipinto raffigurante una villa, ma non vengono invitati ad entrarvi, nonostante siano bugie. Dal suo interno si può anche vedere, attraverso il tetto, la splendida struttura di Malba, ricreando i veri contrasti tra gli insediamenti precari e le torri lussuose che li circondano.

Mondongo riprende un’espressione di Berni secondo cui di fronte a una realtà che “spacca gli occhi”, l’artista “è costretto a vivere con gli occhi aperti”. E sembrano costringere lo spettatore a fare lo stesso. Per questo mettono in gioco né più né meno il problema stesso della rappresentazione e dei rapporti tra arte e protesta sociale. Il problema che sviluppano è come rappresentare la povertà e l’organizzazione dei lavoratori.

La sala principale della villa riproduce due volte il dipinto di De la Cárcova. Da un lato, dipinta su una bandiera, con le canne pronte per uscire a marciare; dall’altro nello spazio: la stanza in cui entriamo è quella del dipinto.

Nel dipinto originale si vede una coppia seduta accanto ad un tavolo, situato sotto una finestra. Fuori si vede la polizia che reprime uno sciopero. La donna tiene in braccio il suo bambino, senza nulla da offrirgli, e l’uomo guarda teso fuori dalla finestra, colpendo impotente il pugno sul tavolo, accanto ai suoi inerti strumenti di lavoro. Nel paese di Mondongo c’è il tavolino sotto la finestra, le due sedie nella stessa posizione e gli strumenti di lavoro, solo che, in questo caso, sono quelli del pittore: tavolozza, pennelli e colori. L’operaio-paesano-artista ha dipinto il quadro-bandiera che poggia sulla parete opposta, pronto per la manifestazione.

La mano chiusa e impotente dell’operaio che non ha scioperato in “Senza pane e senza lavoro” appare alla fine del percorso, nella versione in plastilina di “Manifestación”: diventa il pugno alzato del trotskista (immagine scattata da un membro del Partito dei Lavoratori, amico degli artisti), quasi al centro della mobilitazione. Il trotskista e il bambino sono gli unici che sembrano incolumi, senza distogliere lo sguardo, né alzare lo sguardo al cielo, senza piangere, senza disperazione, senza chiudere gli occhi. L’impotenza si risolve nell’organizzazione e nell’azione.

Le differenze tra la “Manifestazione” di Mondongo e quella di Berni presentano problemi interessanti. Nell’originale, gli operai di una raffineria di Rosario guardano verso lo stesso punto, probabilmente ascoltando un oratore. Mondongo sceglie come modelli un gruppo di personaggi della cultura e dell’arte (Fogwill, Albertina Carri, Sergio Bizzio, Minujín…) e familiari e amici, così la classe operaia, protagonista dell’opera originale, si diluisce in un movimento popolare più eterogeneo movimento, mettendo in dialogo la forza delle mobilitazioni come quella del 23 aprile e il problema della direzione del movimento popolare, poiché quasi nessuno sa dove guardare.

Non passa inosservato che il biglietto per Malba costa 5.000 dollari (2.500 con lo sconto e con un solo giorno libero alla settimana, il mercoledì), così come il recente acquisto che Eduardo Constantini ha fatto della versione di “Manifestación” di Mondongo -secondo La Nation, a sei cifre in dollari.

Alcuni commentatori sui social parlano di snobismo nel realizzare una villa per chi non ci andrà mai e altri rispondono che chi è nella villa non ha bisogno di andare a Malba per sapere che la villa esiste. Noi, invece, difendiamo il diritto all’arte e rifiutiamo la sottovalutazione delle masse popolari, poiché chi vive in città probabilmente trae dalla mostra più conclusioni e sensazioni della piccola borghesia che frequenta Malba. L’esperienza estetica è sempre rivelatrice di nuove conoscenze, il valore dell’arte è l’opportunità di conoscere noi stessi e interrogare il mondo che ci circonda, attraverso esperienze che altrimenti non avremmo, sia che ci mostri una realtà conosciuta o che ci immergi nell’ignoto, e questo dovrebbe essere per tutti. Vale la pena ricordare che Constantini è proprietario di quasi tutti i pezzi che compongono l’arte latinoamericana. Il loro “patrimonio” dovrebbe essere pubblico e accessibile a tutti.

In un angolo quasi nascosto del paese di Mondongo, si apre un piccolo angolo azzurro dove secca una pianta vera che nessuno nel museo annaffierà. Accanto a lui, una sedia vuota, l’immagine del coniglio bianco, come quella di “The Matrix” e “Alice nel Paese delle Meraviglie” che invita all’illusione e alla distorsione della realtà. Chi si siede e guarda la pianta morire, chi la innaffia o la porta fuori dal museo, perché non è di plastilina e morirà; Chi fa questo deve voltare le spalle al coniglio e leggere una parola sigillata su un pezzo di legno: FORZA.

 
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