TUTTI DALLA LORO PARTE E DIO CONTRO TUTTI. RICORDI.

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TUTTI DALLA LORO PARTE E DIO CONTRO TUTTI. RICORDI.

Il grande cineasta tedesco racconta la sua vita.

IL SAGGIO AUTODIDETTA

In un passaggio finale di Ognuno per conto suo e Dio contro tutti, Werner Herzog si riferisce al fatto di aver partecipato ad un film di Edgard Reitz. Herzog ha diretto molti film, ma ha anche partecipato come attore a titoli diversi come Signor solitudine (Armonia Korine), La potenza di un Dio (Pietro Fleischmann) o Jack Reacher(Stepehen McQuarie), tra gli altri. Non molto tempo fa ha interpretato Alexander von Humboldt Heimat, l’altra terra. Che abbia condizionato Reitz a comparire sulla scena con lui è un aneddoto cordiale tra i tanti che si leggono con stupore nel libro, ma ciò che conta è il discreto orgoglio di essere stato il poliedrico, naturalista, geografo ed esploratore tedesco della narrativa. . La curiosità di Herzog è vorace. Si interessa di filosofia, lingue, teologia, civiltà lontane, cosmo, neuroscienze e matematica. Nel capitolo 30, intitolato “Villains”, Herzog riassume il suo percorso: “Sono sempre stato un autodidatta convinto, che non ha mai creduto nelle università”.

Ognuno per conto suo e Dio contro tutti Ha un prologo, 36 capitoli, l’elenco completo dei suoi film fino al 2022, un altro elenco delle sue opere e alcune pagine finali di riconoscimenti firmate nel luglio 2021. Il primo capitolo si riferisce a un’esperienza di stupore che comporterebbe una modifica del coscienza di un ragazzo di 16 anni durante una notte in mare. La laboriosa descrizione di quel momento decisivo, la precisione del vocabolario per riferirsi a una professione marittima e l’attenzione prestata ai dettagli eterogenei definiscono la prosa del cineasta. Potrebbe ricordare un passaggio delle riprese Aguirre, l’ira di Dio, uno scambio su alcune questioni matematiche con Roger Penrose o qualche aneddoto raccontato da sua nonna; il rigore manifesto è uniforme. I dettagli non sfuggono a Herzog.

Nel suo libro di memorie, Herzog rinuncia al calendario, alla linea retta, ai periodi biografici associati alle istituzioni e agli eventi che definiscono una traiettoria. Ci sono ricordi d’infanzia, brani dedicati a genitori, fratelli, nonni, mogli diverse. Alcuni paragrafi citati dal diario della sua bis-bisnonna risalgono al 1829, ma l’organizzazione del libro risponde a un montaggio associativo di segmenti intensi e esempi di apprendimento. Lo stupore dichiarato dell’inizio e il rapporto intrinseco con la curiosità sono costitutivi di un temperamento forgiato dalle mancanze e dalle contingenze di un’epoca.

Herzog è nato nel settembre del 1942, a Monaco, la città che con più fervore abbracciò le delusioni di Adolf Hitler; Era la “capitale” del movimento nazista, e venne ridotta in macerie nel 1945. La madre di Herzog decise di lasciare quella città e trasferirsi in una zona rurale, Sachrang. In un passaggio del capitolo tre, a pagina 31, si legge: «Io e mio fratello Till siamo cresciuti circondati dalla miseria, ma non ci siamo mai resi conto di essere poveri, tranne forse i primi due o tre anni dopo la guerra. Avevamo sempre fame e mia madre non poteva portare abbastanza cibo. Mangiavamo insalate di foglie di tarassaco e mia madre preparava sciroppo di piantaggine e germogli freschi di abete rosso. Le allusioni a quel periodo non sono mai incluse come una richiesta indiretta di commiserazione. Sono semplicemente le condizioni materiali con cui Herzog inizialmente sentiva il mondo. Nella pagina dopo la citazione viene aggiunta una conversazione domestica. I fratelli piangono dalla fame, la madre risponde alla lamentela dicendo loro: “Ragazzi, se potessi tagliarmi un pezzo di carne dalle costole, lo farei, ma non posso”. Herzog conclude: “In quel momento abbiamo imparato a non lamentarci più. Trovo abominevole la cultura del piagnucolio”.

Da quest’ultimo aneddoto si può prevedere quella caratteristica peculiare della personalità del cineasta, capace di resistere alle intemperie dell’Antartide o al caldo torrido accanto a un vulcano, o di girare nella giungla senza alcun conforto o di camminare per settimane dalla città natale a Parigi per raggiungere visitare Lotte H. Eisner e così “fermare” il cancro della critica cinematografica, che ha sempre difeso i film di Herzog. Tenacia e forza di volontà derivano sicuramente da quelle prime impressioni di un mondo segnato dalla mancanza. Ciò è riconosciuto indirettamente da Herzog, che non aveva bisogno della psicoanalisi per indagare sui segni dell’infanzia sulla sua psiche. Disdegna l’invenzione di Freud e il ruolo guida dei sogni, forse perché non crede che tutti sognino di notte. Da quanto detto finora, Ognuno per conto suo e Dio contro tutti Sembra un’autobiografia, ma se lo è, come accade con i film di Herzog, lui la imprime la sua impronta. Cioè, disobbedisce alle regole e alle aspettative e impone le sue idiosincrasie. In altre parole, il libro raccoglie segni di vita: l’intensità di un viaggio o di una ripresa, un momento di apprendimento o un incontro con un amico. Commovente il capitolo 23, dedicato allo scrittore inglese Bruce Chatwin. Lì si può verificare la lealtà di Herzog verso i suoi amici. Sono paragrafi gloriosi.

Herzog non è mai stato interessato alla cinefilia. La sua diffidenza nei confronti delle raffinatezze della cultura borghese è evidente pagina dopo pagina. Niente potrebbe essere più lontano dal direttore di Fitzcarraldo che il rapporto dilettantesco con la conoscenza e la cultura. In questo senso Herzog dissocia il cinema dall’arte e lo mette giocosamente in relazione con la conoscenza. I suoi film sono avventure di conoscenza, spedizioni alimentate dal bisogno di conoscere e soddisfare la curiosità. Detesta l’accademismo, ma sa venerare ciò che può derivare solo dalla formazione universitaria. In effetti, Herzog può lodare Camminare di Thomas Bernhard e allo stesso tempo preferiscono la posizione di Pelayo sul libero arbitrio e le sue conseguenze riguardo al peccato rispetto alla prospettiva agostiniana sulla sua natura intrinseca; può anche affermare che il Dizionario inglese di Oxford –i venti enormi volumi– è “una delle più grandi conquiste culturali dell’umanità”.

Da questa dichiarazione d’amore per un libro che lui considera il libro dei libri, emerge un magnifico aneddoto con Oliver Sacks, esempio concreto di come Herzog lega insieme una storia di vita quotidiana con una certa epica della conoscenza. È così che di solito si riferisce ai suoi film. Tale persona o quella situazione viene sostituita e utilizzata in questo o quel film. Senza dirlo si svela un metodo e una concezione: il suo cinema nasce da un insieme di esperienze e conoscenze, e anche da una passione speculativa che nasce dal connubio tra osservazione e immaginazione. Il capitolo 32, “Lettura del pensiero”, è degno di nota, così come il breve ma cinematograficamente sostanziale “La verità dell’oceano”, in cui Herzog discute con la tradizione di cinema verità e prova una nozione di verità al di fuori della distinzione documentario/fiction che lui chiama “verità estatica”.

I capitoli interamente dedicati al cinema sono pochi, al di là del fatto che il rapporto con i suoi film è una costante. Il libro comprende frammenti (alcuni inediti) di alcuni suoi diari durante le riprese; quelli di La ballata del piccolo soldato sono tanto esaustivi quanto inquietanti, fatto sta che testimoniare come i bambini naturalizzino l’atto di annientamento non poteva non esserlo. Su esperienze così estreme non esistono teorizzazioni sulle scale di ripresa, sui movimenti di macchina o qualsiasi discussione su un obiettivo. Né riferimenti espliciti al discorso cinematografico, come si poteva leggere nei testi di altri colossi del XX secolo, come John Ford o Jean-Luc Godard. Nel capitolo 14, “Doctor Fu Manchu”, l’ampio primo paragrafo lascia trasparire una poetica, o forse lo spirito dietro una poetica, o qualcosa come una sensazione ontologica che determina una ricerca formale in tutti i suoi film: “Nel mio più profondo essere ero fermamente convinto che Non avrei raggiunto i diciotto anni. Poi, raggiunta quell’età, mi sembrava impossibile poter vivere oltre i venticinque anni. Di conseguenza, ho iniziato a fare film pensando che sarebbero stati gli ultimi che avrei diretto. “Perché non avere il coraggio di trovare strade che fino ad allora non esistevano?”

Non mancano le storie famose che, lo sappiamo già, usciranno dalla bocca di Herzog, una raccolta di imprese deliranti che passano di bocca in bocca o vengono riscritte in articoli di giornali o riviste. Herzog ritorna alla scarpa che ha mangiato per aver perso una scommessa con il regista Errol Morris; ma anche l’occasione in cui ha pugnalato uno dei suoi fratelli o le mille battaglie con Klaus Kinski, che viene sempre descritto come un uomo di un altro mondo. Sceglie di lasciare una delle preoccupazioni principali per l’ultimo capitolo. Si chiede: “Come sarà un mondo senza un linguaggio visivo profondo, cioè senza la mia professione?” È una questione gettata nel presente e nel futuro.

Herzog, Werner, Ognuno per conto suo e Dio contro tutti. RicordiBlackie Books SLU, Barcellona-Buenos Aires, 2024, 346p.

*Pubblicato su RevistaÑ nel mese di giugno.

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