Percorri un sentiero di parole che non rotoli in discesa

Percorri un sentiero di parole che non rotoli in discesa
Percorri un sentiero di parole che non rotoli in discesa
Mercoledì 5.6.2024

21:48

Il titolo dell’incipit dell’opera “Mar de Fondo”, “Aflote”, del suo autore, Juan Aguzzi -giornalista culturale, critico ed editore di Rosario-, ne fornisce una chiave di lettura. Tutti i titoli del volume fanno così, potrebbero riflettere le stagioni della vita evocate semplicemente concatenandole in ordine successivo. Leggiamo, nell’ottica di un presente che è riva e si guarda indietro -possibilmente sicuro-, che al di là di quel “mare profondo della vita stessa” con il suo suono che non cessa, con tutti i suoi bivi, il poeta percepisce che Il suo legame con la scrittura è strutturale; Lo scrittore che in qualche sezione labirintica ha smarrito poesie scritte su quaderni non ha mai perso la voglia di continuare a farlo, ha capito che il suo mondo è «composto di storia costruita e di esperienza reale, (…) che bastava scrivere, perché era quello che mi teneva a galla.”

Copertina del libro “Mar de Fondo”, di Juan Aguzzi, pubblicato nel 2023 da Último Recurso Ediciones.

Lo sguardo retrospettivo abilita il filtro della memoria, intreccia un lavoro proustiano nella necessità di rivedere, recuperare, collegare e comprendere il senso del proprio passaggio attraverso le tappe fondamentali della nostra storia recente. Le otto sezioni a cui si aggiunge una breve coda, riuniscono poesie che disegnano una poetica di spigoli narrativi con immagini riuscite tra il sensoriale e l’emotivo, attraversate da una soggettività che scava, allude, filtra, riprende i molteplici spigoli del significato intravisto. . Un sé a volte plurale e altre volte si trasforma in terza persona e – forse quando raggiunge la massima intensità – in prima, guarda dentro di sé e ricostruisce sul taglio fornito dalla memoria.

“Nella scena dell’infanzia c’è il mondo”, scriveva la poetessa María Negroni, ed è nella sezione “Sorprendente”, che apre il libro, che batte un riflesso del paradiso perduto (a volte è l’infanzia). Come nel modello mobile di un tempo scomparso (niente internet, niente cellulare, niente piattaforme, niente giochi) “un tempo acceso / guidato dai suoni vibranti / del quartiere”, l’estate rossa, l’immaginazione al culmine, un posto dove vorrei tornare per scoprire cosa c’era dietro quelle risate sciolte, “per sentire lo stesso”.

Tempi in cui le battaglie si combattevano con i soldatini di piombo, la simulazione per il solo piacere del gioco. Crescere in un quartiere di case basse progettava “attentati” che altro non erano che ingenui scongiuri alla noia. I giochi si svolgono in strada, i progetti si svolgono al riparo di un corridoio. Una casa di campagna dove potevano vivere i fantasmi e “Gli alberi sembravano di un altro mondo”, fornisce il primo disincanto verso un mondo ineguale: “Non capivo come tanta parte del mondo/ appartenesse a una sola persona”.

Le poesie raccolte in “Borrascas” evocano l’oscurantismo durante l’ultima dittatura del nostro Paese, quando una generazione giocò tutto per tutto scommettendo su un futuro più giusto. L’occhio poetico si concentra sulla ribellione, sugli inizi di militanza di chi immagina, desidera e confida in quel mondo da costruire, senza preavviso “… i segni / che soffocherebbero ogni idea”, il tempo annientatore di sogni che stava arrivando . La dura esperienza riflessa raggiunge il suo culmine nelle poesie “Expanded Time” e “Irons”, parola quest’ultima che, nel contesto richiamato, implica chiusura: “Quei ferri erano/ una delle forme di morte. (…) Al ombre della memoria/ diventa difficile attraversarle/ dovunque si cammini/ ci sono fiori bianchi che odorano di morte”.

Qui acquistano forza le parole di Osvaldo Lamborghini che aprono questa serie: “…prevenire ogni delirio / tornare indietro”; così intensa era la convinzione assunta. Il poeta conserva un’eredità: porterà sempre con sé l’ostinazione, «l’incandescenza / dei compagni assenti», che gli diedero i loro nomi «perché li portasse con me fino all’ultimo respiro»; Nemmeno una poesia d’amore regge sulle rovine che le assenze innalzano nella memoria.

La poesia “The Walking People” ferma lo scorrere del tempo: elementi raccolti alla luce della luna; “Ambasciatori del mate e di una padella senza manico”, giovani che non credono ai modelli attuali, forse in attesa di un manuale di istruzioni capace di curare le loro ferite, solo e soltanto sotto la protezione di qualche magica premonizione. Risuonano le parole “dissolutezza”, “devastazione”, “battaglie perdute in anticipo”, “… piani/condannati all’oblio/la trappola a metà”.

Tutto è concordato “sotto il dominio del vento e degli alberi”. Notevole è la presenza di ambienti naturali che circondano le fasi iniziatiche: lo spazio aperto, le rive, la notte, la luna, i binari della ferrovia, gli alberi, i fiori, che lasciano “una porta aperta/per far entrare il vento”. Solo il tempo ha modificato le ossessioni. Il poeta riconosce l’onnipresenza del “fallimento”, corollario della sconfitta; Parola che si ripete e “inizia in casa e si attacca alla pelle”. Il peso di quel “fallimento” trova però il suo corrispettivo nella memoria del cuore, nel desiderio di riaprirsi alla sensualità, all’amore, all’illusione, quest’ultima riscontrabile solo nei cortili dell’infanzia dove – si dice – c’erano segni .

Nonostante le molestie della “memoria della tristezza”, la poesia “Sete” riscrive l’impulso a sfuggire all’oscurità. Toccare il fondo implica l’imminente ricerca della luce, forse il desiderio di scavare per scoprire di cosa sia fatta davvero quella “sete” che, intuiamo, allude all’antico desiderio: immaginare e catturare un mondo più umano. Negli interstizi filtra la vocazione, anch’essa antica, dello scriba che perse i quaderni con le sue poesie. È importante “scrivere dell’innominabile”, fare chiarezza o ordinare, nonostante le difficoltà: le parole non bastano; Come è noto, nonostante la poesia lo tenti, dietro ogni linguaggio c’è l’indicibile, come disse una volta Rainer Maria Rilke.

La serie “Weeding” sembra un punto di arrivo o di rottura in cui l’urgenza è sradicare ciò che impedisce il decollo. “A tentoni” e “Atto di vedere” sono poesie cruciali. L’io poetico, dislocato in “A tentoni” alla mediazione della terza persona, vede “una luce scintillante”, la paura placata, un’altra deriva. Per “vedere” bisogna spegnere il mondo, confidare nella solitudine, masticare ciò che fa male, credere nella parola “forte e capace di tentare l’impossibile”. Chiudere, avere, vedere, resistere, essere, l’uso dell’infinito come forma verbale impersonale non è casuale. Sono azioni da combinare che isolano e illuminano ciò che ancora fa male e che giace nel profondo: «l’ampiezza della sventura/ è un autentico passaggio/ di generazione in generazione»; Vale la pena costruire «un cammino di parole / che non rotoli in discesa».

“Mar de Fondo” è forse un lungo dialogo del suo autore con se stesso, un regolamento di conti alla ricerca di risposte che non si trovavano né prima né adesso: “…il mondo cade / e solo pochi sembrano accorgersene “. Tuttavia, e sebbene ci sia desolazione nella persistenza di quei fiori bianchi che profumano di morte, una luce guida si accende nell’ostinazione a resistere, a riscrivere senza sosta quelle “parole audaci” che aprivano la strada all’ampiezza.

Un’accurata selezione di epigrafi rivela un lignaggio letterario: Clarice Lispector, la già citata Lamborghini, Teuco Castilla, Enrique Molina, Rodolfo Fogwill, Silvina Ocampo, Alejandra Pizarnik, Leopoldo Marechal; voci a loro volta illuminate dalle parole del regista lituano Jonas Mekas, che ha scritto: “Scommetto sull’arte che realizziamo l’uno per l’altro, come amici”. Scommetto che “Mar de Fondo” condivide: l’immersione del suo autore nei territori della memoria non comprende solo lui, nel suo specchio tutti possiamo guardarci.

Riflessioni su “Mar de Fondo”, opera di Juan Aguzzi, pubblicata da Último Recurso Ediciones, anno 2023.
#Argentina

 
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