Borges e la Legge: verità, denuncia, tradimento, castigo e colpa nell’autore

Borges e la Legge: verità, denuncia, tradimento, castigo e colpa nell’autore
Borges e la Legge: verità, denuncia, tradimento, castigo e colpa nell’autore
Mercoledì 5.6.2024

21:53

È stato recentemente pubblicato un nuovo libro sull’inesauribile opera di Jorge Luis Borges: “Borges e la legge” (21° secolo), di Leandro Pitlevnik. L’autore è dottore in giurisprudenza, professore ordinario presso la Facoltà di giurisprudenza dell’UBA e direttore accademico del Centro per gli studi sulle esecuzioni penali dello stesso istituto di istruzione superiore. In precedenza ha pubblicato i romanzi “Una vita con il cappello”, “I pipistrelli” e “I pesci”.

L’Ateneo Jorge Luis Borges di Santa Fe (Ateneo JLB), che ha iniziato le sue attività lo scorso aprile e è promosso congiuntamente dalla Fondazione Galisteo, dalla rivista Sures e dalla Libreria Ferrovía, ha invitato Pitlevnik a parlare venerdì 27 giugno, a partire dalle 20:00, nello spazio situato a San Jerónimo 1745. I posti sono limitati. Chi fosse interessato può scrivere a [email protected]. Quello che segue è un dialogo con l’autore:

– Perché un giurista si avvicina al mondo borgesiano?

– In verità si potrebbe rispondere con un’altra domanda: perché no? La letteratura di narrativa, la poesia, il teatro, sono consumati da insegnanti, avvocati, medici, lavoratori. Il mondo della letteratura è lì perché possiamo trasportarci dove vogliamo o entrare, indipendentemente dal nostro lavoro o professione. I mondi di Borges hanno una costruzione ed un’estetica così particolari che sembra difficile non averli notati. Nel mio caso mi sono piuttosto immerso nelle storie, nelle biblioteche, nelle lotterie, nei giardini, nei tradimenti e nelle lealtà a cui ricorre per raccontare il mondo e che riflettono qualcosa del modo in cui stabiliamo delle regole per gestire al meglio la nostra convivenza. .

– Esiste una dimensione nella letteratura di Borges che abbia a che fare con il diritto?

– Dal mio punto di vista sì. Da un lato ci sono finzioni in cui si sviluppano società distopiche dove il caso o l’impossibilità di conoscere la realtà soffoca i suoi abitanti e che ci permettono di pensare a matrici più piccole che riconosciamo anche nella nostra stessa comunità. Saturi di eccesso di razionalità o di impossibilità a farsi comprendere, rappresentano in qualche modo alcune delle paure che non così insolitamente percepiamo nella vita di tutti i giorni. D’altra parte, il modo in cui vittima e carnefice vengono confusi, le nozioni di tradimento e lealtà in molte delle sue finzioni o la costruzione dettagliata di una storia poliziesca sono, in breve, scenari che potrebbero essere attraversati dal sistema giudiziario o le norme che ci diamo per casi specifici con l’intenzione che ci migliorino come società.

-Borges offre agli operatori del diritto una visione diversa?

– Borges ha sottolineato l’istanza creativa della lettura. È il lettore che dà un significato particolare a ciò che legge. L’idea è meravigliosa e allo stesso tempo non è assoluta, perché se lo fosse eliminerebbe ogni valore dal testo scritto; ma è evidente che dipende sempre da chi legge. Nel caso della prosa narrativa di Borges, a mio avviso, c’è una ricchezza o, proseguendo con il concetto di lettura, c’è una fonte pronta per il lettore, un trampolino di lancio sapiente per andare oltre la lettera scritta, che facilmente permette diverse prospettive. In questo senso, riguardo al diritto, che a volte sembra così formalmente costruito, così estraneo, capisco che contiene altre prospettive, più ricche, più utili.

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Il significato che aveva la mia tesi e che ho cercato di far riflettere nel libro, non è quello di trarre conclusioni da Borges o cercare di essere la voce autorevole di un messaggio apparentemente vero dei suoi libri, ma piuttosto che la lettura arricchisce il processo attraverso il quale pensiamo al nostro universo e alle sue regole. Alcune delle conversazioni che mi hanno dato più soddisfazione dopo aver pubblicato “Borges e la legge” sono quelle che ho avuto con professionisti che ammiro e loro mi hanno detto che leggerle ha permesso loro di riflettere sul modo in cui hanno argomentato in un processo o, in un altro caso, che gli ricordava certe letture iniziali, la profondità con cui, a partire da una lettura di Kafka decenni prima, quella persona aveva trovato la sua vocazione alla difesa pubblica. Voglio dire che il libro portava le tracce che la lettura stessa di altri romanzi aveva portato qualcuno a ritrovarsi con la vocazione di difendere i più vulnerabili di fronte al sistema di giustizia penale.

-Qual è stato il tuo rapporto con Borges?

Anche se la mia età mi avrebbe permesso di incontrarlo, non l’ho mai visto. Non ho assistito alle sue lezioni. Forse da bambino avrei potuto vedere un’intervista in televisione, o ripetere quel mito molto argentino dell’ingiustizia con cui l’accademia svedese gli negò il Premio Nobel che, diciamo, meritava più di chiunque altro. Come Piglia fa dire a un personaggio di Respirazione Artificiale (e io lo riproduco in una sezione del libro), immaginare che Borges non esista è come fingere che non esista nemmeno il Rio de la Plata e che si possa andare a piedi fino in Uruguay. Il rapporto con Borges è quello di una calamita che attrae le discussioni, cosa che sembra diventare inevitabile quando si affrontano le discussioni letterarie e molte altre che superano quello letterario.

– Cosa puoi dirci sulla genesi del tuo libro “Borges e la Legge” e sul tuo percorso?

– Dopo aver lavorato molto sui suoi racconti, riflettendo su problemi legali attraverso le sue finzioni (Jaime Malamud Goti, Martín Farrell, Martín Bohmer, sono alcuni dei giuristi con cui ho avuto la fortuna di incontrare, discutere, insegnare o frequentare seminari), il la possibilità che diventasse argomento della mia tesi di dottorato è diventata una conseguenza naturale. La scintilla è stata accesa diversi anni fa da un amico quando mi chiese perché non avessi unito definitivamente entrambi i mondi in una tesi di dottorato e il processo fosse definitivamente avviato. Ho avuto l’opportunità di recarmi a Pittsburgh dove opera il Centro Borges, diretto da quell’enorme e generoso intellettuale di Daniel Balderston, lì ho studiato e partecipato a seminari.

Le biblioteche dedicate a Borges sono quasi una riproduzione della sua ciclica biblioteca di Babele, ce n’è per tutti, quindi non ho fatto altro che leggere i suoi testi e leggere cosa hanno detto di loro tanti e tanti accademici. Un certo critico letterario che ammiro (Sarlo, Barrenechea, Piglia, Ludmer, Molloy, lo stesso Balderston) lavora spesso in uno spazio che, credo, mi confina: l’idea di Stato, le rappresentazioni, le letture di Borges sui il passato. argentino, sul nazismo o sul peronismo. Forse il mio posto in quell’universo in cui non cerco di confrontarmi, ma piuttosto di mettere insieme un punto di vista, è quello di unire i punti che, dalla prospettiva più limitata della legge, creano altre costellazioni.

-Qual è il testo borgesiano che consideri più vicino ai problemi del diritto?

– Quando andiamo così spesso a vedere uno spettacolo, ci capita come nella vita di tutti i giorni con i personaggi di una serie che non possiamo smettere di guardare. Le nostre preferenze variano a seconda della stagione. La stessa cosa che fin da bambini, credo, succede a noi con Mafalda. Per un po’ ci divertiamo di più con Susanita, poi Manolito, poi Libertad oppure torniamo a Mafalda come favorita. Forse è una conseguenza di quanto accennavamo prima, riguardo al fattore creativo di ciascuno nell’atto della lettura. Direi che uno di quelli che ho più presenti in questi giorni è “I Teologi”. In esso compaiono l’attribuzione della verità, la denuncia, il tradimento, la punizione, la colpa, l’esercizio del giudizio. Per molto tempo mi sono concentrato su “Pierre Menard, autore del Don Chisciotte”, per la sua rappresentazione del modo in cui leggiamo un testo e delle riflessioni che da esso aprono le porte a diverse interpretazioni dei testi giuridici.

– Perché un avvocato dovrebbe leggere Borges?

– Torniamo all’inizio… Perché no? Forse la parola “dovere” è un po’ forte, ma su quel treno penso che tutti dovremmo permetterci di rischiare con i suoi testi. Perché fanno bene, proprio per questo.

 
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