Un’indagine internazionale, condotta dall’Istituto di Astrofisica delle Isole Canarie (IAC) e dall’Università di La Laguna (ULL), insieme a un gruppo di università italiane, conferma un nuovo metodo per trovare protoammassi di galassie, le più grandi strutture dell’universo primordiale. Questi progenitori degli attuali ammassi galattici sono essenziali per comprendere l’evoluzione dell’Universo, ma molto difficili da individuare. Lo studio mostra che un particolare tipo di galassie, chiamate galassie submillimetriche, sono ottimi indicatori della presenza di protoammassi distanti. I risultati sono pubblicati sulla rivista Astronomia e astrofisica.
I protoammassi di galassie sono le strutture più grandi che popolavano appunto il cosmo primordiale 1 miliardo di anni dopo il Big Bang. La comunità scientifica è particolarmente interessata a queste popolazioni galattiche, progenitrici degli attuali ammassi di galassie, poiché essendo così antiche possono aiutare a comprendere i processi di formazione ed evoluzione delle strutture su larga scala dell’Universo. Tuttavia, identificare i protocluster non è facile e se ne conoscono pochissimi.
Per risolvere questo problema, un team scientifico internazionale ha proposto un nuovo metodo focalizzato su un particolare tipo di oggetto: galassie submillimetriche. Scoperti alla fine degli anni ’90, devono il loro nome alla loro intensa emissione nella banda submillimetrica, cioè la regione dello spettro elettromagnetico compresa tra gli infrarossi e le microonde. Sono tra le galassie più massicce e polverose dell’Universo e hanno un alto tasso di formazione stellare, che può superare quello della Via Lattea di oltre cento volte.
“Diversi studi precedenti avevano dimostrato che le galassie submillimetriche risiedono al centro di protoammassi di galassie, ma c’era grande controversia”, spiega l’autore principale dell’articolo. Rosa Calvi, ricercatore presso l’Università di Ferrara e precedentemente ricercatore post-dottorato presso lo IAC. “Il nostro lavoro rappresenta il primo studio sistematico dell’ambiente su larga scala di un campione di galassie submillimetriche confermate spettroscopicamente”, chiarisce.
--Grazie allo studio effettuato, il team scientifico ha dimostrato inequivocabilmente che le galassie submillimetriche sono ottimi indicatori di protoammassi distanti. Per ottenere questo risultato, hanno cercato queste strutture primitive attorno a dodici galassie submillimetriche e hanno scoperto che undici di esse sono ospitate in otto protoammassi. Di questi otto, il nuovo studio ne ha confermati in modo indipendente tre già noti e ha trovato prove della presenza di cinque nuove strutture. Uno di essi, attorno alla galassia GN10, è tra i protoammassi più distanti mai osservati: la sua luce ha impiegato più di 12,5 miliardi di anni nel raggiungere la Terra.
Lo studio getta nuova luce anche sulla connessione fisica tra le galassie submillimetriche e l’ambiente circostante, mostrando una correlazione finora non osservata tra la quantità di gas molecolare (il combustibile da cui si formano le stelle) nelle galassie submillimetriche e la sovradensità di galassie e protoammassi. “Per spiegare questa correlazione, abbiamo proposto l’ipotesi che le interazioni tra le galassie negli ambienti più densi facilitino il collasso del gas e il conseguente alto tasso di formazione stellare che caratterizza le galassie submillimetriche più luminose”, afferma. Helmut Dannerbauerricercatore presso l’IAC e l’ULL che ha anche partecipato allo studio.
Nei prossimi anni, si prevede che il numero di protoammassi confermati aumenterà considerevolmente grazie all’utilizzo di strutture scientifiche di nuova generazione come il satellite Euclid, una delle principali missioni in corso del Agenzia spaziale europea (ESA) e in cui il IAC partecipa attivamente. “Con il satellite Euclid, uno strumento rivoluzionario per lo studio delle strutture su larga scala, speriamo di scoprire e caratterizzare migliaia di protoammassi distanti, che rappresenteranno una spinta senza precedenti nello studio dell’evoluzione delle galassie”, conclude. Gianluca Castignaniricercatore presso l’Università di Bologna e coautore dell’articolo.