I Bunkers hanno scosso lo Stadio Nazionale con un concerto che li ha immortalati

I Bunkers hanno scosso lo Stadio Nazionale con un concerto che li ha immortalati
I Bunkers hanno scosso lo Stadio Nazionale con un concerto che li ha immortalati

La chiamata per I bunker Non c’erano dubbi. Il primo appuntamento dei loro due spettacoli al stadio nazionaleera completamente esaurito, quindi ci si aspettava una prestazione consecutiva. E il secondo, previsto per questa domenica, ha biglietti disponibili solo per il settore del tribunale.

Ecco perché nessuno potrebbe sostenere – né ieri, né oggi, né domani – che alla banda Penquista manchi la forza necessaria per salire sul palcoscenico storico di tante battaglie sportive, momenti sociali emblematici e lacrime che persistono ancora oggi.

Ma nonostante la massiccia affluenza prevista, soprattutto per chi come me non si è mai considerato un suo fan, potrebbe ancora sorgere un dubbio: la messa in scena e l’esibizione sarebbero all’altezza di tali aspettative? Potrebbero giustificare lo svolgimento dei loro concerti nel colosso che di solito è riservato ad artisti e gruppi di livello mondiale?

Ebbene, senza timore di cadere in esagerazioni, si può già dire questo È bastata una sola canzone per fugare i dubbi. Con gli schermi giganti, i giochi di luci e il rapporto musicale, scandito da sonorità spettacolari, si può solo dire che tutte le carte sono state subito messe in tavola.

Infatti, nelle sue tre ore di rock e di grandi emozioni, dal suono esplosivo ed eloquente”Vieni qui” fino a quell’inno assoluto chiamato “Piove sulla città“, i Los Bunkers hanno scatenato tutto il loro talento e la loro potenza per dare vita ad uno spettacolo solido, di livello internazionale, che può facilmente essere affiancato e anticipato a qualsiasi concerto tenutosi nella storia musicale di questa lunga e stretta striscia di terra.

Inoltre, nonostante siano trascorse solo un paio d’ore al momento in cui scrivo queste parole, si può già dire che così sia un recital storico che ha elevato la musica cilenache non sempre ha la possibilità di avere come palcoscenico il Nacional.

E l’unione dei Los Bunkers, insieme alla straordinaria collaborazione del prodigioso batterista Cancamusa, si sono completati a vicenda per creare una gigantesca effusione musicale che ha sfruttato appieno il gigantesco palco con tonnellate di strumenti, le sue passerelle sorprendenti – a cui hanno fatto il massimo di esso per dare tempo a ciascun musicista – e, senza dimenticare, allo stadio stesso.

Insomma, non è esagerato affermarlo Questo concerto merita di essere elevato al livello della presentazione nazionale più ricordata nella stessa sede di Ñuñoino: quel leggendario ritorno dei Los Prisioneros, in due date, all’inizio di questo secolo. Così chiaro, così eloquente e così mascherato.

Foto: Ignacio Orrego.

Preceduti da una buona presentazione di Pedropiedra e da un breve stand-up di Fabricio Copano che includeva una notevole battuta senza censura sulla sua metamorfosi in Kike Morandé, Los Bunkers ha ampiamente concretizzato un viaggio lungo, emozionante e brillante attraverso la sua intera storia musicalecomprese trenta canzoni della sua discografia iniziata, guardati, all’inizio di questo secolo.

C’erano ovviamente brani originali come “Animated Fantasies of Yesterday and Today”, “Tra le mie braccia” e “Ho seminato i miei dolori d’amore nel tuo giardino”, oltre a brani del suo ultimo album, Noviembre, tra cui il lavoro di lo stesso nome.

Ovviamente non mancavano anche i suoi più grandi successi, compresi i brani già citati all’inizio, insieme a brani come “Il mio n” e anche una versione notevole di “Ora che non sei qui”. Tutto ciò che ci si poteva aspettare era lì e nulla sembrava lasciato da parte, nonostante la lunga durata dello spettacolo.

Ma i Bunkers si sono presi il tempo anche per toccare la chiave emotiva, facendo la storia nello stadio.

Una città senza memoria è una città senza futuro

Dopo una cover di “El necio”, il locale di Grecia Avenue è diventato nero per consentire il dispiegamento di un drone. E lì, dopo che sugli schermi sono apparse le immagini di una Nazionale gremita da cima a fondo, è scoppiato lo stupore assoluto, sono rimasti a bocca aperta e Il gruppo di Conce è apparso dal nulla al memoriale dei detenuti scomparsi.

È stato lì che, con il motto “Una città senza memoria è una città senza futuro” in sottofondo, il gruppo Penquista ha inviato una straordinaria cover di “L’esilio dal sud” di Violeta Parra emozionare e scatenare applausi incontenibili. Personalmente, per puro shock ho gridato: “oh, ha fatto un casino”.

Naturalmente quella non era l’unica canzone di quel settore, dato che quella sezione acustica comprendeva anche “Calles de Talcahuano”, “Entre mis Armas” e “El Detenido”, la prima canzone del loro primo album, che notarono aver eseguito come se questa occasione fosse stata destinata.

Durante tutto il concerto ci sono state ovviamente più cover di quelle di Violeta, compresa la sempre richiesta “Angelo per un finale” di Silvio Rodríguez, insieme ad un altro paio.

È necessario sottolineare che un altro grande momento si è verificato quando, a tutto volume, i musicisti hanno recuperato la loro cover di “Il diritto di vivere in pace”, che hanno incluso nel loro primo album, per dare il via all’apparizione sullo schermo di Vittorio Giara e il dispiegamento della sua voce per eseguire una performance che fonde ieri e oggi con il domani.

Lungo il percorso ci sono state anche altre sorprese, dall’apparizione di Guaripolo e dei personaggi di 31 Minutos all’inclusione di Pedropiedra come accompagnatore alle tastiere in un paio di canzoni, che hanno reso chiara l’ambizione che ogni momento e segmento del recital fosse pensato fin nei minimi dettagli.

Ma, come previsto, l’emozione ha comunque dato vita a momenti che non sembravano affatto pianificati.

Il momento più bello ha coinvolto un Mauricio Durán, sull’orlo delle lacrime, che ha fatto una accorata riflessione sullo stato della violenza, sia in Cile che nel mondo. “In giorni come questi, quando ci si riunisce qui, ci si chiede sempre: perché si canta? Perché siamo venuti a un concerto per cantare? Immagino che non ci resti altro che aggrapparci a un’idea un po’ innocente di sentirci un po’ più accompagnati in giornate turbolente”, ha osservato prima dello spettacolo “El Detenido”.

“Questo posto è molto speciale perché è stato costruito per accogliere e moltiplicare la gioia di un Paese, questo stadio, ma la storia ci ha anche dimostrato che un posto così bello, nelle mani sbagliate, può rapidamente diventare un contenitore di tanto dolore .” e molto spaventoso”, ha aggiunto. E lì ha sottolineato che è stato dimostrato anche che il tempo può trasformare la paura in riflessione e ricordo, che a suo avviso porta sempre “un barlume di speranza” e, con un po’ di fortuna, può trasformarsi in gioia.

Quel messaggio ha incorniciato il concerto dall’inizio alla fine, mentre i Los Bunkers cercavano di dare un significato alla loro presentazione al National, che andava oltre la semplice replica dei successi, uno dopo l’altro, recuperando con successo la propria storia nel quadro dell’eredità che coinvolge la sede più importante del Paese. E questo è stato sicuramente più che sufficiente per immortalare questa prima grande presentazione.

 
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