Recensione de L’ingratitudine del mostro, di Matías Serra Bradford: letture riservate

Recensione de L’ingratitudine del mostro, di Matías Serra Bradford: letture riservate
Recensione de L’ingratitudine del mostro, di Matías Serra Bradford: letture riservate

In un breve periodo di tempo, Matías Serra Bradford ha mostrato una sinestesia critica di libri che dimostrano la perenne vocazione dei suoi articoli culturali. Tredici pittori lettori, animali timidi, lanterna di neve O Come simulare un’ombra Si avvicinano alle arti plastiche, alla poesia, al cinema o all’arte del necrologio con la spontanea premeditazione di uno stilista che attraversa i continenti per assorbirli nel suo inchiostro.

Forse L’ingratitudine del mostro essere un’antologia essenziale di quella linea prolifica e complementare, se non altro perché interferisce con il mestiere dell’autore. Le sfuggenti figure del critico e del lettore ruotano attorno a voci miscellanee di una curiosità imprevedibile, non solo come tema, ma come tratto formale, corpo fisico o credo segreto.

Qualunque sia l’argomento (un viaggio, una cronaca, un profilo, un saggio), è sempre il testo a risaltare in primo piano: congetture geometriche, frasi scarabocchiate, paragrafi ondulati alimentano un palinsesto di impressionismo terreno, una lavagna di formule accuratamente disordinata che sbiadiscono nel lavaggio. Non è un caso che Bradford confessi un amore sapiente ping-pong: è quell’energia della meditazione zigzagante che energizza queste frasi rapide, che invitano al contrario di sottolineature non meno elettriche.

A volte compaiono la mano e perfino la sagoma dello scrittore (come quelle di un prestigiatore o di un mago), sia nelle pacate considerazioni sulla pandemia, nella furtiva passeggiata per Venezia o nella sensibile annotazione sul posto da un concerto di Martha Argerich e Sergei Babayan. Il palcoscenico intimidatorio pubblico del teatro Colón illumina per contrasto l’idea del libro, che cementa nella lettura e nella scrittura l’ultima protezione privata, quel modesto ritiro in cui mettere a nudo la propria coscienza.

Quindi, una delle preoccupazioni di L’ingratitudine del mostro sia la scomparsa o la fuga dello scrittore, sempre più complessa in un mondo che valorizza la visibilità onnipresente. “La sfida più grande sarebbe la strada opposta: quella dello scrittore che, quanto più è disponibile e visibile, tanto più diventa misterioso”, risolve Bradford. In ogni caso, sono i valori della reticenza, della discrezione, dell’anacronismo, della marginalità e della durabilità ad emergere come ideali di fronte ad uno stato di cose irrimediabilmente effimero, egoico, stridente e amnesico.

Per quanto giochi con la microscopia, Bradford proietta sulla pagina una vasta biblioteca che sorge alle sue spalle, prevalentemente inglese e italiana, che funge da esempio vigoroso di un universalismo trascurato e che comprende scrittori, storici, matematici, filosofi, editori. Charles Simic, Frank Kermode, Alberto Arbasino, Mario Praz, Cristina Campo, Gianni Celati, Roberto Bazlen, Roberto Calasso, Carlo Ginzburg, Jean Starobinski o Jean Paulhan sono le chiavi del codice confidenziale di una spia, la supplica di un sedentario illuminato persona o la volontà di un naufrago ottimista. In tal senso l’ultima parte del volume è dedicata esclusivamente alla critica, quello scaffale rimpicciolito da cui emerge la vernice che ricopre l’intero mobile.

L’ingratitudine del mostro. Matías Serra Bradford. Alchimia.
  • L’ingratitudine del mostro. Matías Serra Bradford. Alchimia. 202 pagine. $ 7.800.
 
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