‘Puan’ (2024), recensione | Osa essere intelligente in tempi di mediocrità, coprendo la domanda politica con un umorismo sempre pungente.

C’è chi nega che il cinema sia politico. C’è anche chi preferisce credere che ‘Starship Troopers’ o ‘Robocop’ siano semplici film d’azione senza alcun background, o che ‘Star Wars’ non voglia raccontare altro che un’evidente lotta tra il bene e il male, senza grandi espedienti esterni. influenze. Ma il cinema è politica, perché tutto nella vita lo è. E ‘Puan’ ne è un buon esempio: travestito da commedia innocua, questo film filosofico nasconde una caramella avvelenata per un settore reazionario che potrebbe sentirsi davvero a disagio nella parte finale del film. Giusto. Tutti ci sentiamo a disagio quando ci viene posto uno specchio. e non ci piace quello che vediamo.

Filosofia, quando sarai mia

‘Puan’ è un film tanto piacevole da vedere quanto complesso nella sua esecuzione, quasi come guardare un giocoliere che gioca con i coltelli dove ogni movimento è fondamentale perché tutto vada bene e Qualsiasi errore può farti perdere rapidamente interesse.. Per questo motivo, i registi e sceneggiatori, María Alché e Benjamín Naishtat, giocano in modo alchemico con i diversi strati della narrazione, dalla battuta slapstick più elementare, perfetta per allentare le tensioni, alla rivendicazione politica più ovvia, passando per l’umorismo filosofico e -coscienza di sé un personaggio tanto imperfetto quanto assorbito dalla propria imperfezione.

In definitiva, il film non è solo una commedia divertente sulla rivalità tra due modi di vedere la vita, come annunciano il poster e il trailer: lo è, e con questo ce ne andremo mentre andiamo via, una rivendicazione dell’istruzione pubblica in un momento particolarmente complesso per l’Argentina. In effetti, “Puan” è stato rilasciato appena un mese prima che Javier Milei vincesse le elezioni e già risollevasse la precarietà dell’università, abbandonata a se stessa negli ultimi anni.

Ma la sceneggiatura è così intelligente che, invece di trasformare questo grido di protesta in una semplice macchia alla fine del nastro oppure diventare protagonista trasformandolo in un pamphlet, sorvolando lentamente le vite dei tuoi personaggi, preparandoli, sullo sfondo, a un’inevitabile lotta contro il sistema. Naturalmente non perdere mai di vista la cosa più importante affinché tutto funzioni e affinché il gatto mangi la pillola avvolta nel prosciutto: commedia pura e semplice.

Puan e il circo

Forse “Puan” non reggerebbe così bene se non fosse per l’incredibile ed emozionante performance di Marcelo Subiotto, che con il suo sguardo altruista e il suo ritmo nel parlare fa del suo omonimo Marcelo Pena un personaggio affascinante, rattristato da anni dalla propria immagine sempre più invecchiata e che, quando finalmente trova una strada nella vita, viene investito da una modernità nell’apprendimento – che considera, ovviamente, indegno -. Una modernità rappresentata, tra l’altro, da Leonardo Sbaraglia tanto brillante quanto nitido e divertente.


Puan2

Decisamente, La cosa più divertente di ‘Puan’ sono i suoi piccoli dettagli pieni di ironia e cattivo umore, come il fatto che le menti presumibilmente più brillanti del paese, pronte a dibattere tra Rousseau e Kant, il divino e l’umano, concentrino tutto il loro interesse nel sapere se la cantante alla moda (Vera Motta) frequenta o meno il giovane professore disposto a sfidare Pena per la cattedra. Perché, alla fine, non importa quanto Nietzsche abbiamo letto, i pettegolezzi muovono le montagne. O, forse, quei corsi di filosofia per un ottuagenario che Finiscono per diventare una semplice performance collettiva di clown (uno “spettacolo filosofico”), tradendo i suoi ideali più elementari e scambiando l’onore con un po’ più di denaro.

“Puan” è sempre tagliente e divertente, ma anche sottile e aggressivo dove dovrebbe essere, sì. Ma corre il rischio che il pubblico lo percepisca come elitario o poco attaccato alla realtà quotidiana: del resto, per quanto il suo protagonista sia un perdente, è pur sempre un professore universitario di filosofia che Si sente tale solo in base alle sue lezioni, alla sua oratoria, alla sua conoscenza e il suo triste sarcasmo. E ci sarà chi lo troverà eccessivamente colto o, direttamente, pesante nel suo approccio. È un pensiero riduzionista che non è fedele alla realtà, sì, ma esiste.

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Dopotutto, ‘Puan’ osa essere intelligente in un momento in cui sembra un veleno per il botteghino, diretto a un paese dal destino politicamente incerto che non ha ascoltato il suo messaggio. Nonostante i nemici che si fa strada facendo, non cerca di nascondere i suoi colori politici (che, tra l’altro, sono anche politica), ma piuttosto li mostra apertamente, lottando per sopravvivere con intelligenza in un mondo che sembra voltare le spalle al pensiero critico. E tutto questo con una risata in mezzo che rende ignorarlo un errore assoluto. Con o senza Kant coinvolto.

A Espinof:

 
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