La chiave è non dimenticare › Mondo › Granma

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Gli anni Cinquanta hanno avuto come sfondo l’inasprimento della contraddizione Est-Ovest, rappresentata dal confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Il miraggio di essere il grande vincitore della Seconda Guerra Mondiale svanì nella misura in cui le condizioni sociali, da entrambe le parti, si differenziarono in base ai risultati economici e al progresso scientifico.

La possibilità di espansione comunista servì a giustificare la repressione interna negli stessi Stati Uniti, con l’applicazione del maccartismo, e verso il resto dei paesi la formula comune fu lo sviluppo di colpi di stato. Il caso del Guatemala, nel 1954, fu uno di questi tristi esempi.

Il paese centroamericano a base agricola era essenzialmente controllato dal monopolio yankee delle banane United Fruit Company, che era riuscito a mettere i suoi tentacoli su immensi appezzamenti di terreno, oltre ad essere il principale azionista della ferrovia centrale.

Le terribili condizioni di vita della popolazione e il ruolo arrendevole dei diversi governi nazionali diedero la possibilità di vincere, nel 1952, al governo progressista di Jacobo Árbenz, che promosse la riforma agraria e altre misure di beneficio popolare.

La sua proposta, anche se non ha eliminato le cause fondamentali dello sfruttamento, ha colpito il regime di oppressione coloniale imposto dall’imperialismo, motivo sufficiente per l’inizio di un ampio complotto con l’obiettivo del suo rovesciamento. La Central Intelligence Agency, con il consenso del governo degli Stati Uniti, inizierebbe a preparare un’invasione.

La CIA non doveva apparire come il principale promotore, motivo per cui l’ambasciata americana fu il centro di coordinamento da cui partì tutta l’opera di sovversione interna.

Le risorse arriverebbero attraverso il monopolio delle banane e la campagna internazionale sarebbe diretta dal Dipartimento di Stato, che utilizzerebbe l’ONU e l’OAS come piattaforme per le sue accuse di cospirazione comunista internazionale.

Il 18 giugno 1954 iniziò l’invasione che, guidata da Carlos Castillo Armas, avrebbe posto fine all’esperienza di trasformazione democratica di un popolo sofferente, a cui fu fatto pagare caro, come altri nel continente, il tentativo di pensare sul proprio paese sovrano.

Sette anni dopo avrebbero ripetuto la formula contro una piccola isola dei Caraibi che, dopo una lotta sanguinosa, riuscì a sconfiggere il dominio imperialista. Non potevano perdonargli di aver attuato, proprio sotto il naso dell’impero, anche una riforma agraria.

La minaccia dell’esempio troncato in Guatemala sembrava rinascere; Si ripeterono poi gli stessi metodi: sovversione, pressione diplomatica e invasione per imporre un governo provvisorio. fatto in USI.

Solo che questa volta è stato diverso. Si sono trovati di fronte a un popolo preparato, armato, cosciente, con una leadership politica capace di comprendere gli insegnamenti che la storia del continente ha fornito.

Sono trascorsi settant’anni da un evento che segnò l’America Latina, che ebbe una sinistra continuità nel Plan Cóndor degli anni ’70, e rese possibile l’ascesa di numerose dittature nella regione.

La chiave è non dimenticare: l’esperienza può essere riproposta, quella minaccia è latente ogni volta che l’oligarchia e l’imperialismo vedono i loro interessi in pericolo.

 
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