Cammino di voci e silenzio

Cammino di voci e silenzio
Cammino di voci e silenzio

Domenica 28/04/2024

/ Ultimo aggiornamento

Il nuovo libro di César Bisso si compone di tre parti. Non hanno titolo, solo un’epigrafe che li precede. Potrebbero averlo, perché le poesie si riferiscono a luoghi, persone, personaggi, identità, eventi diversi, del nostro Paese e di più continenti. Ma l’autore percorre un’altra strada, non lineare, cercando l’unità dell’insieme con il tono della scrittura. Dal titolo del libro ricaviamo l’idea del movimento, una sorta di attenzione attiva, che “accade”, come termina una poesia. Infatti scrive: “L’unica cosa che mi salva è la strada”.

Questo è ciò di cui parla “Andares”. Della necessità di un percorso che abbia tanti nomi. Un cammino che è anche un cammino verso l’interno, e verso il basso, come le vene che portano il flusso in un corpo che respira: “Il mio cammino ondeggia per incerti corridoi sotterranei” (“Cuevas de Artá”). E l’arco è ampio, sia che si tratti del viaggio infinito della vita quotidiana (“Il Ritorno”), la cui luce tremolante ne avverte il percorso, sia che si tratti del “Profeta” che “ha sempre viaggiato attraverso le città del mondo”.

Ricordo chiaramente le poesie di César Bisso in cui il tema è il fiume, libri che sono il fiume stesso, come “L’altro fiume” o “Isla dentro”, che hanno a che fare con il suo spazio natale, Coronda. Ora ci porta dall’acqua alle strade. Anche il fiume è una delle tante forme di cammino, così come lo è la memoria. E ci sono anche altri viaggi tanto incerti quanto rivelatori, e “Andares” ce ne dà conto: “Con la dolce cadenza che viaggiano i camalotes/ti portano oggi nelle sabbie mobili”.

Si legge in apertura: «La poesia è colpevole perché non sa essere innocente». La poesia è mossa dalla curiosità, dal rischio. Come il “guerriero” in battaglia, “nel poema il poeta è sempre nudo”, scrive Bisso. La cronaca del libro si muove tra una forte e ampia carica di significato: «Il silenzio spegne l’ultimo alone della strada/ e nulla resta, solo la vita feroce,/ il fango del mistero, la sete dei cadaveri,/ l’urlo spettrale di chitarre che cadono nell’abisso / dopo una danza senza memoria” (sulla morte di Jorge Cafrune); e il verso essenziale e diretto: “Io sono il paese oscuro e remoto”. Il tema è lo stesso.

Copertina del libro “Andares”, del poeta corondiano César Bisso, pubblicato l’anno scorso.

Le dediche presenti nella seconda parte del libro, più che un accenno in fondo, si intrecciano in ogni poesia: sono fatti che ne costituiscono l’architettura e la sua essenza. Ne “Il giardiniere di Deiá”, scrive: “Una voce aspra cerca la parola irrevocabile”. È la ricerca di Robert Graves, a cui è dedicata la poesia, e anche quella dell’autore, di due voci per dare forma al mito vivente della poesia. E ci sono altri riferimenti ai poeti, ciascuno sottilmente intrecciato nella poesia. Ad esempio: Juan Gelman, José Emilio Pacheco, Ledo Ivo, Rubén Vela, Vicente Huidobro, ecc.; ai cantanti: Alfredo Zitarrosa, Nina Simone, Atahualpa Yupanqui, il già citato Cafrune. “Andares” è fatto di voci, ma anche di silenzio puro, come se il silenzio fosse un luogo: “Donne che parlano dietro il silenzio”, “Tanto silenzio affila gli artigli del puma”.

Nell’ultima parte, si passa da “Il candido Tafí con le sue rotaie arrugginite”, in Tucumán, al duende che “cammina sciolto/spargendo preghiere”, in Tilcara; da “Il miracolo è soggetto ai piedi./ Adesso capisco. L’unica cosa che mi salva è la strada”, in Talampaya, a “La terra della memoria esplode sotto il sole dell’Andalusia”, in Siviglia; da “Una notte a Masaya”, in Nicaragua, a “Il pomeriggio circonda una corona di tannini / sulla fronte della montagna devastata”, nel nord di Santa Fe.

Il poeta vede, vive, scrive, per testimonianza o per contemplazione, ma senza che l’una ostacoli l’altra. Come nella poesia intitolata “San Francisco del Monte de Oro”. È il nome di un paese della provincia di San Luis, in una valle di montagna. Descrive il ranch dove Domingo Faustino Sarmiento, nel 1826, all’età di 15 anni, fondò la sua prima scuola. Ma è più di una semplice descrizione precisa e bella: la poesia fa sì che intorno e dentro i muri di mattoni e di pietra le cose continuino ad accadere, le stesse cose, duecento anni dopo.

Mi permetto di aggiungere le reminiscenze che il luogo mi porta, perché a soli cento metri avevo la mia seconda casa, dove ho vissuto per qualche anno, e lo storico ranch era una tappa obbligata per scendere in paese. Come lettore, sono grato per avermi permesso di fare questo viaggio di ritorno con la poesia.

Dopo un lungo e generoso viaggio attraverso cui ci porta il libro, nell’ultima poesia (intitolata “It Rains in Toay”), che è breve e viene qui trascritta, il poeta ritorna al suo fiume, all’acqua come linguaggio, al suo, paradossalmente “punto di appoggio per non cadere”.

Analisi letteraria dedicata all’opera “Andares”, di César Bisso. Edizioni La Yunta, Collana di poesie. Buenos Aires, 2023.

Piove a Toay (a Olga Orozco)

Piove in città dove succede raramente.

Sono seduto su una panchina in piazza,

davanti alla chiesa degli angeli dormienti

con i suoi aghi che trafiggono il cielo.

L’ombra di un uccello in volo

schivare la spinta dell’acqua.

Il vento soffia contro i corvos caldenes

nella città dove non si sente niente.

Immagino la casa, illuminata.

È come se stessi guardando

dove la luce ripara la sua bellezza.

Magnolie viola nel cortile

Seguo le orme delle formiche

per piastrelle rotte.

Sotto la grondaia, una ragazza si diverte

torte di mele cotogne e miele.

La foto ritarda l’infanzia,

Evoca frammenti di gioia.

È allora che scoppia un’altra pioggia

dentro i suoi occhi verdie Toay si oscura su una pagina.

 
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