La finanza statale come strumento di governo nel sistema federale

La finanza statale come strumento di governo nel sistema federale
La finanza statale come strumento di governo nel sistema federale

È necessario ricordare, ai fini di questo articolo, che il federalismo argentino non serve solo a distribuire i poteri tra le province e il governo federale, che queste hanno deciso di riconoscere e organizzare costituendo la Confederazione/Nazione argentina. Il federalismo rappresenta il modo naturale e storico di ordinare i rapporti tra i “ranches”, città e province fondatrici, dapprima, e l’insieme delle province e dei municipi che compongono l’attuale Nazione argentina, poi. Modo e maniera, di impronta storica e tradizione, di organizzare relazioni e risolvere problemi.

La questione della ripartizione fiscale federale costituisce il nucleo centrale di queste riflessioni (articolo 75, comma 2, sesta clausola transitoria). Nell’aspetto finanziario del federalismo – forse anche in altri – si osserva una chiara violazione costituzionale, che forse risiede in un’errata interpretazione della volontà del costituente. In questo senso, il consenso raggiunto nel 1994 non ha continuato il suo percorso al Congresso Nazionale, perché come si diceva allora, la riforma costituzionale restava “aperta”, per essere chiusa o completata dai legislatori nazionali.

Il volto “post-costituente” non ha funzionato. Al contrario, questo esempio di omissione/violazione costituzionale e molti altri (il Difensore civico della Nazione non viene nominato/nominato da quindici anni) mostrano e caratterizzano la nostra debole cultura costituzionale e quindi bassi livelli di legalità, che creano necessariamente incertezza giuridica.

Pertanto, la legge che il Congresso nazionale deve da quasi trent’anni dovrebbe essere finalizzata senza scuse (la democrazia deliberativa online è possibile grazie ai progressi tecnologici, manca il dialogo tra i legislatori nazionali e i legislatori di ciascuna provincia). E così facendo, si dovrebbe analizzare la distribuzione costituzionale in materia fiscale, la ripartizione delle tasse e le basi federali del bilancio nazionale, creando un rapporto ragionevole tra il criterio devolutivo e il criterio redistributivo nell’analisi dell’allocazione delle risorse.

Il federalismo proposto nella riforma costituzionale del 1994 aveva marcati caratteri solidaristici (“non devono esistere province di prima classe e province di seconda classe”, si è detto, cercando lo sviluppo armonico dell’intera Nazione, oltre a sottolineare che diversi governatori hanno partecipato nella convenzione. È il famoso “federalismo della concertazione” che persegue lo sviluppo armonico del governo federale, in funzione del coordinamento e dell’accordo degli attori coinvolti. Vale la pena ricordare che, quando esiste la volontà politica, si trova la figura giuridica.

Questo mandato costituzionale può e deve essere attuato. Siamo convinti che ciò non avvenga, principalmente, a causa dell’iperpresidenzialismo e del governo della DNU – con la riduzione delle funzioni assegnate dal Congresso -, senza ragioni impellenti e rendendo squilibrato l’attuale stato dei poteri della Repubblica. I legislatori nazionali, appunto, approfittano della situazione di un Esecutivo che non ha praticamente né senatori, né governatori, e pochissimi deputati. È il momento politico di provarci.

Per evitare l’arbitrarietà esistente nella ripartizione delle risorse, riteniamo – seguendo Antonio María Hernández – che se la maggioranza assoluta di ciascuna Camera è quella richiesta dalla Costituzione per l’approvazione della legge sull’accordo, lo stesso criterio ragionevole dovrebbe essere adottato fissata per l’approvazione delle basi e della legge d’intesa da parte delle legislature provinciali. Per essere chiari, la maggioranza assoluta delle ventitré province e del CABA (cioè 24 distretti) è di 13, un numero praticamente e politicamente accessibile, a causa dell’attuale contesto politico e della debolezza istituzionale dell’attuale presidente. In democrazia, chi ha la maggioranza non possiede inesorabilmente la verità, ma ha il potere di decidere.

L’operatività dell’articolo 75, comma 2 e della sesta clausola transitoria, ormai decaduta, non può essere sottoposta a criteri interpretativi irragionevoli. La passività dei poteri costituiti (in questo caso il Congresso Nazionale) non li esonera dal rispettarlo o, almeno, dal tentare di farlo, rompendo l’attuale status quo. Vale la pena ricordare, a titolo di esempio, quanto detto a proposito della riforma della “legge” sulle trasmissioni radiofoniche del Processo.

Il nostro governo nazionale è centrale, non federale. Le violazioni costituzionali hanno disegnato un sistema di fatto unitario, centralista e arbitrario, ultrapresidenzialista, che genera profonde asimmetrie. Invece di abrogare la compartecipazione (ha detto José Luis Espert), bisogna dettare la legge, affinché nessuna provincia sia, come si diceva negli anni Novanta, “non vitale”.

L’attuale presidente rivendica costantemente la Costituzione del 1853-1860. Sarebbe opportuno ricordare che la Magna Carta che ci governa è stata riformata nel 1994. È fondamentale realizzare un nuovo sistema di compartecipazione, poiché quello che abbiamo, con le “toppe”, è quello che viene dal tempo di Raúl Alfonsín con la Legge n. 23548, sui principi che nascono dal federalismo concertato, con la solidarietà e la lealtà federali, caratteristiche essenziali e costitutive delle federazioni.

Il nostro governo nazionale è centrale, non federale. Le violazioni costituzionali hanno disegnato un sistema di fatto unitario, centralista e arbitrario, ultrapresidenzialista, che genera profonde asimmetrie. Invece di abrogare la compartecipazione (ha detto José Luis Espert), bisogna dettare la legge, affinché nessuna provincia sia, come si diceva negli anni Novanta, “non vitale”.

Il ragioniere nazionale Ricardo Roccaro e l’avvocato Francisco Javier Funes hanno master in Pubblica Amministrazione e professori universitari.
#Argentina

 
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