Un artista strano, solitario, quasi segreto | Un ricordo di Edgardo Cozarinsky, morto domenica

Un artista strano, solitario, quasi segreto | Un ricordo di Edgardo Cozarinsky, morto domenica
Un artista strano, solitario, quasi segreto | Un ricordo di Edgardo Cozarinsky, morto domenica

Paiva conobbe Buenos Aires solo all’età di quattordici anni e la lasciò all’età di trent’anni. Quando ricominciò a farle visita, lo fece sempre più spesso. Aveva vissuto a Parigi, sì, ma fu durante i suoi viaggi di scoperta ed esplorazione attraverso l’Asia centrale che ricevette dalle culture extraeuropee e dalla loro arte popolare una forza che lo attraeva senza bisogno che Parigi la accettasse, analizzasse e codificasse. . Nelle fotografie di Il Paraná riconosco uno sguardo che prima si fermava a distanze poco frequentate: nel caso di Paiva, in Kirghizistan e Afghanistan.

Interni/Esterni, pubblicato a Parigi nel 2002, resta il punto più ardito e stimolante nelle ricerche plastiche di questo artista strano, solitario, quasi segreto, la cui opera rivelerà nella prospettiva del futuro una profonda coerenza di visione creativa, al di là delle vicissitudini a cui è stato sottoposto. che la storia del secolo scorso ha sottomesso l’esistenza dell’individuo. In Interni/Esterni, Oruro, Misiones o la rue des Rosiers, registrate con procedimenti fotografici ottocenteschi (gomma bicromatica, per esempio) e poi trattate a pennello sul negativo e sulle copie, acquistano un certo aspetto spettrale che non dipende solo dalla sopravvivenza di un immagine del passato ma anche per resuscitare una tecnica abbandonata per rivendicare il suo potere di trasfigurare la presenza e rivelare l’assenza.

Parlavamo spesso con Rolando della stanchezza che Parigi suscita in chi come noi aveva scelto di viverci quasi tre decenni fa, dell’erosione dell’immagine, prestigiosa in sensi diversi per chi un tempo la percepiva come tale, di quella come la luce di una stella morta continua a illuminare grazie alla discrepanza tra la distanza e il tempo. Rolando sosteneva che la formalità dei rapporti sociali in Francia, goduta all’inizio come un sollievo per noi che eravamo cresciuti nel partito di Buenos Aires, diventava soffocante per noi che non avevamo cercato di assimilarci (scrivere in francese, pensare in Francese, sentiti in francese). Ho sostenuto l’idea già stanca di Parigi come di un mercato interessante, dove si possono incontrare altri coltivatori da tutto il mondo, venire a mostrare, e idealmente a vendere, gli uccelli metaforici, le verdure e altri frutti dei loro paesi non europei fattorie.

Ora che non posso più continuarle, quelle conversazioni, oziose nella reiterazione di argomenti senza grandi variazioni fondamentali, ritornano alla mia memoria con la precisione, inevitabilmente definitiva, che acquisisce il ricordo degli amici che ci hanno lasciato. Ridevamo della costellazione di insignificanti premi letterari francesi, o di quell’istituzione fatta di modesti maîtres à penser (Bernard Henri-Lévy, Jean Baudrillard!); allo stesso tempo abbiamo riconosciuto che il prestigio dell’attività culturale, per quanto banale fosse, può proteggere: ha consentito a noi, immigrati senza il sigillo (fino a non molto tempo fa redditizio) dell’esilio politico, di trovare uno spazio dove poter lavorare in pace, Rolando nella pittura e nella fotografia, io nella scrittura e nella cinematografia, senza ansia di ottenere il consenso di una società il cui modo di funzionare riflette la calcolata scadenza della moda.

Un artista visivo come Rolando Paiva, che per lungo tempo si rifiutò di esporre il suo lavoro pittorico e fotografico, stava evidentemente lavorando contro le esigenze di un mezzo che, sia a Parigi, Buenos Aires o New York, richiede varietà e costante rinnovamento del repertorio. di merce. Quando, meno di dieci anni fa, decise di seguire il corso del Paraná in diversi periodi dell’anno, per fotografarne le sponde fino a raggiungere il Paraguay, per lui la leggendaria patria di suo padre, sentii che aveva preso una decisione forte. Poco prima aveva scelto di avere un appartamento a Buenos Aires, dove “andava a respirare” più volte all’anno. (Il destino ha voluto che più o meno nello stesso periodo ereditassi una biblioteca privata a Buenos Aires che mi dasse la scusa per avere una seconda casa, a Buenos Aires, e approfittare di ogni pausa lavorativa per andare anch’io a “respirare”. )

Nella sua ultima visita a Buenos Aires, intorno al Capodanno del 2003, insistette per vedere i suoi amici degli anni ’60 e diede loro copie delle sue fotografie del Paraná. In quel momento non ho visto altro che un gesto generoso, che lui ironicamente ha presentato come un retrouvé temps molto lontano dai salotti proustiani; Ora mi chiedo se intuisse che non gli restava molto tempo in questo mondo e volesse lasciare sulla scena della sua giovinezza una traccia di quella molteplice, inesauribile bellezza americana che solo il suo ritorno e la sua maturità gli avevano permesso di vedere e registrare.

*Testo incluso nel libro Blues (AH, 2010), di Edgardo Cozarinsky, che riunisce appunti di viaggio e biografici, a cura di Fabián Lebenglik. L’immagine di copertina del libro è di Rolando Paiva (senza titolo; Paraguay, 1999), che fa parte del libro citato in nota: Interni, Esterni, de RP, Parigi, Maison de l’Amerique Latine, 2002.

 
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