Serie: recensione di “L’Orso – Stagione 3” (“L’Orso”), di Christopher Storer (Disney+)

Qualsiasi lavoro, per quanto entusiasmante possa sembrare dall’esterno, può diventare ripetitivo, faticoso, stressante. Può essere la redazione di un giornale – almeno questa è la mia esperienza – o un ristorante, come quello situato nel drammatico centro di ORSO. Sono lavori che si svolgono contro il tempo, organizzati secondo uno schema che dovrebbe essere preciso ed efficiente ma non sempre lo è, e in cui gli ego si scontrano tra loro più di quanto sia umanamente necessario; lavori in cui avere un “cattivo capo” può rovinare l’esperienza di un dipendente o creare un ambiente di lavoro costantemente pessimo.

La terza stagione di L’ORSO Si concentra su come si replicano le brutte esperienze lavorative, su come i traumi e le cattive abitudini apprese o ripetute in questo tipo di situazioni finiscono per dominare e complicare la vita di coloro che le attraversano. È una stagione che non raggiunge la potenza emotiva della seconda – è più tesa, ruvida e disorganizzata – ma mantiene l’ottimo livello e la coerenza che già ci si aspetta. A suo modo, funziona quasi come una transizione verso una serie di definizioni che sicuramente arriveranno nella quarta.

Il primo episodio inizia poche ore dopo il caotico finale della seconda stagione – in cui Carmy veniva lasciata rinchiusa in un enorme congelatore nel bel mezzo dell’apertura del ristorante e lì ha avuto un esaurimento nervoso che lo ha finito per confrontarsi con tutti e con se stesso – e cerca di aggiungere qualche problema nuovo a quelli che già conosciamo di lui. Scopriremo presto che non è solo la sua famiglia ad averlo traumatizzato.

In una puntata che ripercorre diversi momenti del suo apprendistato da chef, vedrai come alcune brutte esperienze lavorative in lui sono diventate realtà e oggi le ribadisce, ne soffre e le trasmette agli altri. Riconoscerlo non significa superarlo, chiaramente, dal momento che Carmy (Jeremy Allen White) rimane in uno stato di stupore per gran parte della stagione. Ma almeno si comincia a ripercorrere una strada. La stagione lo vedrà cercare di portare il ristorante L’Orso all’eccellenza a cui punta, alla stella Michelin che pensa di meritare. E per questo sarà necessario portare tutto al limite del gestibile: emotivamente ed economicamente.

Carmy vuole che il menu cambi ogni giorno e acquisti solo prodotti della migliore qualità anche quando non vengono utilizzati quasi mai. Ma farlo significa avere a che fare con suo “zio Cícero” (Oliver Platt), che vede che i numeri non si riducono, e con un ambiente di lavoro ridicolmente intenso. Con il suo “cugino” Richie (Ebon Moss-Bachrach) sarà un continuo urlare e con il suo secondo – scusate, il suo sous chef–, Sydney (Ayo Edebiri), diventerà un rapporto che potremmo definire passivo-aggressivo: lui la tratta bene, ma evidentemente non tiene conto delle sue idee. Il che porta Sydney, per ragioni che diventeranno evidenti, a impiegare più tempo del previsto per firmare un contratto che la renderebbe partner nell’impresa.

La stagione ha come punti di tensione il personale, l’economico, l’attesa delle critiche dei media e il solito caos di servire ogni giorno cene di nove portate con un menu diverso in un ambiente di lavoro piuttosto pessimo. In mezzo, i casi particolari e le trame parallele. Nel caso di Carmy, la rottura con Claire (Molly Gordon), ma anche gli altri avranno la loro, con padri (Syd), madri (ritorno di Jamie Lee Curtis), gravidanze (Melanie, la sorella di Carmy, sta per partorire) e la Fratelli fak (Mathy Matheson e Ricky Staffieri) che finiscono per diventare estenuanti staffette comiche della serie, che anziché allentare le tensioni finiscono per aumentarle.

Ci saranno molti cameo e ruoli occasionali (alcuni nuovi come John Cena e Joel McHale) e altri già conosciuti (Olivia Colman, la flashback con Jon Bernthal e Will Poulter, tra gli altri), oltre a una lunga serie di veri e propri chef ospiti che avranno in un episodio il loro momento di gloria. E nonostante gli assi narrativi siano disposti con chiarezza, a volte la serie abusa delle sequenze di montaggio musicale, degli andirivieni temporali, del tentativo di generare tensione urlando in modo un po’ ripetitivo (Richie a volte torna ad essere il “Testa” che sembrava aver superato) e uno stile di montaggio frettoloso che non era più originale.

La cosa migliore della stagione è quando prende una svolta e diventa riflessiva e calda, quando la telecamera fa una panoramica della città, immergendo la serie nella vera Chicago che la contiene, quando i personaggi prendono fiato e possono parlare tra loro e non solo abbaiarci addosso. L’episodio 6, diretto da Edebiri, è il migliore di tutti. È un flashback che ci mostra la vita di Tina Marrero (Liza Colón-Zayas) prima di far parte di The Beef, l’originale ristorante Berzatto. Nel suo andare e venire alla ricerca di lavoro per tutta la città e, soprattutto, nel suo emozionante incontro con Mikey (Bernthal), L’ORSO Mette in risalto il suo lato più umanistico, caloroso e solidale, che rende “sopportabile” la tensione che i personaggi sperimentano. E non solo loro. Queste scene sono, per gli spettatori, ciò che giustifica lo stress di tutto il resto. Il mondo può essere un luogo intenso, violento e problematico, ma se ci sono legami che uniscono le persone, se c’è qualcosa che può essere chiamato “comunità”, tutto diventa più sopportabile. Sia nella finzione che nella realtà.



 
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