La RAH ora utilizza un ordine ministeriale del 1850 per giustificare il rilascio dei Gloses

La richiesta formale dei Glosas per una mostra temporanea che avrà luogo a San Millán nel 2026 ha dato vita a un’appassionante telenovela storico-giuridica, con sorprendenti colpi di scena e strani personaggi che compaiono dal nulla per acquisire improvvisa importanza. COME In tutte le soap opera è molto facile perdersi, quindi, prima di riprendere la narrazione, è opportuno ricordare quanto avevamo visto nei capitoli precedenti.

L’affermazione storica delle Glossas ha trovato un sostegno inaspettato in un’indagine dello storico Javier García Turza sull’archivio di San Millán. Nella parte finale del suo libro, García Turza recupera una lettera di Pascual de Gayangos, bibliofilo e arabista sivigliano, in cui confessa di aver trovato nel monastero di Yuso, in una stanza murata, «64 volumi manoscritti della più grande antichità, la “maggior parte illuminata”. Gayangos ha riconosciuto di averli presi senza informare né il governatore civile della provincia né il vescovo della diocesi. Con una certa dose di cinismo, ha confessato che li avrebbe spediti a Logroño “se la scoperta fosse stata di minore importanza”, ma che ha deciso di metterli in sacchi e spedirli direttamente a Madrid. Era, a suo avviso, la “più antica e migliore raccolta di codici della Spagna”. Sebbene non fosse dei più belli, e la sua importanza fosse sconosciuta all’epoca, tra quei manoscritti c’era un libro di sermoni non molto grande, le cui annotazioni a margine nascondevano le prime frasi composte nella nuova lingua.

Forse la cosa più curiosa del caso è che la lettera di Gayangos si trova nell’archivio della Reale Accademia di Storia da un secolo e mezzo ed è già stata riprodotta in un libro, ‘I viaggi letterari di Pascual de Gayangos’, pubblicato nel 2007. di Miguel Ángel Álvarez Ramos e Cristina Álvarez Millán. Tuttavia, finché García Turza non se ne accorse, nessuno si era accorto che il suo contenuto rappresentava una sfida totale alla tradizionale storia della partenza dei Glosa per Madrid. Finora si presumeva che, in ottemperanza al primo processo di dismissione, durante il Triennio Liberale, nel 1821 si fossero recati prima a Burgos e poi a Madrid. La lettera di Gayangos, però, smontava questa tesi e sosteneva la teoria del saccheggio: il bibliofilo andaluso avrebbe dovuto riferire la sua scoperta non solo al governatore civile della provincia ma anche al vescovo perché il monastero, trasformato in casa missionaria, era diventato proprietà della diocesi di Calahorra.

Anche se nessuno dice nulla alla Royal Academy of History – questo giornale ha chiesto invano per settimane un’intervista alla sua direttrice, Carmen Iglesias – la rivelazione ha avuto un impatto evidente sulla dotta istituzione. Dopo il rifiuto di cedere i Gloses anche per un’esposizione temporanea, il Governo di La Rioja ha chiesto di conoscere i dettagli della relazione rilasciata dal bibliotecario, il medievalista di Valladolid Miguel Ángel Ladero Quesada. Come ha appreso questo giornale, la RAH non ha ancora risposto a questa richiesta, ma ha inviato una lettera all’Esecutivo in cui chiedeva maggiori informazioni sulle indagini di Javier García Turza.

Cambio di strategia

Alla luce di queste rivelazioni, la Royal Academy of History ha segretamente cambiato la sua strategia. Nel prologo all’ultima edizione critica di Las Glosas, Carmen Iglesias insisteva ancora sul fatto che i codici erano partiti legalmente nel 1821 per Burgos e che cinquant’anni dopo erano finiti alla Reale Accademia di Storia. Tuttavia, nel discorso tenuto durante la presentazione di quella stessa opera, nel febbraio 2024, aveva già cambiato versione, anche se non la sua idea: sosteneva che i Gloses erano entrati nella RAH nel 1851 e infine menzionava il concordato firmato quello stesso anno come garanzia di legalità, poiché la Chiesa “aveva riconosciuto i diritti dei nuovi proprietari”.

Era una difesa urgente, ma molto debole. Quel concordato tentava di fare tabula rasa e invitava a rispettare la proprietà di chi aveva “comprato” beni svenduti, ma Gayangos non acquistò nulla: prese i codici e se li portò via, senza denunciare la sua scoperta né alle autorità civili né a quelle religioso.

La Reale Accademia di Storia non ha risposto formalmente alle nuove indagini, anche se lo ha fatto in maniera sibillina, pubblicando sul proprio sito un “nuovo spazio tematico” sulle Glosas Emilianenses. E qui arriva un nuovo e inaspettato colpo di scena: l’istituzione diretta da Carmen Iglesias riprende in gran parte le tesi di García Turza e dà piena validità alla lettera di Gayangos, ma nega che il bibliofilo sivigliano o l’allora direttore della RAH, Luis López Ballesteros, ha agito illegalmente. L’intera mostra pubblicata sul suo sito web può essere letta come una nuova e diversa giustificazione per l’uscita dei Gloses.

La lettera di Bravo Murillo

Ora entra in scena un nuovo personaggio: Juan Bravo Murillo dell’Estremadura, leader del partito moderato divenuto presidente del Consiglio dei ministri e immortalato con una via centrale di Madrid. Nel 1850 Bravo Murillo era ministro delle Finanze. Secondo la RAH, il 26 agosto 1850, fu pubblicata un’ordinanza reale “che ordinava che tutte le carte e i documenti storici esistenti nei monasteri e conventi (…) fossero trasferiti all’Accademia di Storia”.

“Con questo ordine reale”, riassume l’istituzione, “la RAH è stata destinataria di una serie di documenti a rischio certo di perdita, deterioramento o vendita”. Inoltre, nella presentazione dei documenti, l’Accademia sottolinea che Gayangos ha viaggiato per tutta la penisola “investito dell’autorità conferita dalle norme vigenti”. In questo modo Carmen Iglesias ha fatto propria la tesi della sua avversaria in tutti i suoi punti tranne uno, il principale: l’illegittimità della diffusione dei Glosas.

La diocesi, legittima proprietaria del monastero “e di quanto conteneva”

La nuova e meditata difesa della Reale Accademia di Storia presenta però dei punti deboli. Nella lettera di Gayangos, trasformato in testimone dell’accusa, scivolano frasi che suonerebbero strane se il suo autore avesse agito nel totale rispetto della legalità. Il monastero di Yuso non fu abbandonato. Gayangos sapeva che il convento, inteso come “casa missionaria”, era stato formalmente consegnato al vescovo “con tutto ciò che conteneva”. Tuttavia, con o senza provvedimento ministeriale, ritrovati i codici, i Gayangos ne intuirono il valore e non lo comunicarono al legittimo proprietario.

 
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