Il paziente nella stanza 406

Marianela ha avuto un infarto in una cabina dell’ospedale San Pedro. Aveva attraversato un periodo negativo e aveva troppe cose alle spalle. Sua figlia e i suoi genitori avevano appena subito un intervento chirurgico e lei ha preso in mano la situazione. Il 22 febbraio, 2020 è esploso tutto. Si è recato da solo al Pronto Soccorso. Erano le 13:50, sei minuti dopo fu valutato in classifica e si convenne che alle 14:27 sarebbe stato nuovamente esaminato. L’assistenza medica è stata ritardata fino alle 15:10 e a quel punto la donna era cianotica e non rispondeva. È stata immediatamente trasferita in rianimazione, ha avuto fibrillazione ventricolare e sono state eseguite misure di rianimazione cardiopolmonare fino a quando non ha riacquistato il polso in 8-9 minuti. Poco dopo è stato ricoverato nel reparto di medicina intensiva con danni cerebrali apparentemente causati dal momento dell’arresto cardiorespiratorio.

Per lei si è potuto fare poco o niente e dopo quasi un mese in terapia intensiva Marianela si è svegliata ed è stata trasferita in reparto. Era il 15 marzo e fino al 17 agosto è rimasta in ospedale finché la famiglia non ha deciso di trasferirla all’ospedale privato Aita Menni di Mondragón. L’attenzione non fu quella che si aspettava e ritornò a San Pedro, dove rimase per almeno nove mesi. Nel dicembre di quell’anno la sua storia fu protagonista sulle pagine di questo giornale. Sotto il titolo “Natale nella stanza 406”, sua figlia ha raccontato la dura prova che stavano attraversando.

Nel frattempo, la famiglia ha fatto causa al Servizio Sanitario della Rioja e ha chiesto un risarcimento iniziale di 1,2 milioni di euro per i danni subiti da Marianela per quella che hanno definito “difettosa” assistenza presso il Servizio di Emergenza di San Pedro. Nel corso del procedimento giudiziario, prima dell’udienza orale, la donna è morta e si è convenuto di proseguire il procedimento per una somma di euro 634.650,41.

I protocolli stabiliscono, per una classificazione di triage II, un tempo di servizio di 10 minuti, e Marianela ha dovuto attendere 73 minuti per essere assistita.

Una volta celebrato il processo e ascoltate le testimonianze dei medici che hanno curato Marianela al Pronto Soccorso, il giudice del Tribunale di primo grado numero 4 di Logroño ha respinto la domanda della famiglia. Nella sentenza, il magistrato riconosce che da quando è stata ricoverata, la donna non ha ricevuto le cure necessarie per poter sapere di quale disturbo soffrisse, è stato eseguito un prelievo di sangue, i cui esiti non è stato possibile valutare, l’elettrocardiogramma non è stata denunciata né risulta che sia stata esaminata da un medico, ed è stata privata del monitoraggio prima di essere valutata da un medico. Alle 14.30, infatti, il monitoraggio è stato rimosso per spostare il dispositivo in un altro box dove si trovava un paziente le cui condizioni erano più gravi. A quel tempo, secondo i testimoni, non c’erano così tante macchine ed era necessario stabilire delle priorità.

Tuttavia, pur riconoscendo il ritardo delle cure – i protocolli stabiliscono, per una classificazione nel triage II, un tempo di attenzione medica di 10 minuti, quando in realtà dal momento del ricovero fino all’assistenza medica sono trascorsi 73 minuti – il Il giudice ritiene che “non è stato possibile giustificare l’esistenza di un trattamento che fornisse una probabilità di evitare il danno o di ridurlo”. Una sentenza contro la quale la famiglia non ha ancora deciso se ricorrere in appello.

#Argentina

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

-

PREV La magica cittadina di La Rioja tra montagne da scoprire
NEXT “Siamo 170 dollari al di sotto della media interna”