José Enrique García, dalla penultima grafia, E, la fuga improbabile e altri oggetti

Che l’agonia, fissa, affiliata alla penultima grafia dell’alfabeto, Ecome segno precoce di morte, “Raggiungi, senti, senti”poco o niente importerebbe, nell’omonima poesia Eperché la triste mietitrice, impercettibile, attaccata all’ultimo grafema dell’alfabeto, Z, come segno definitivo dei vostri giorni, arriverà nonostante le precauzioni che potremmo adottare. Infatti, le istruzioni o forze originarie, perdute, non potranno rinviare questo transito fugace che ci ritarda, e nemmeno impedirlo, “gli dei…non rinunciano al loro compito di perseguitare le creature umane”, ovvero, in breve, garantire la complessità e l’ordinamento della materia che penetrava nella vita.

L’aria primordiale che, all’improvviso, ad un certo punto se ne andrà senza dire addio alle condizioni iniziali che esistevano nel tuo corpo, soffocando, in un respiro furtivo, frigido, luttuoso, la straordinaria materia e fioritura dell’evoluzione biologica o divina, “corpo che finisce all’improvviso / nell’aria definitiva, sotto le eccessive e successive forze degli dei incaricati di amputare senza pietà i tuoi slanci, “Palpitazioni/gemiti”, consustanziale del sangue, “ora sereno”, riconciliato con la routine equilibrata e predestinata del morire.

Ed è quello José Enrique Garcianel suo alfabeto intimo, metaforico, è assegnato al penultimo passo, Eesponendoti, in un passo e tre passi, alla prescritta possibilità della tua ultima impronta sul nebuloso burrone del Z, “Chi ignora questo destino?” emblema, conclusivo, della tua caduta dalla linea esatta del pezzo uterino o della nascita, “Dove sciogliere questo nodo dell’origine?”a forza, intrappolato, in un glossario minimo di riposi, costrizioni, deposizioni e squilibri paralleli alle condizioni inaugurali del tuo destino.

Alla fine, cercando l’abbagliante inizio del tempo, “uomini e donne”, noi stessi arriviamo all’era oscura, travolgente, improrogabile del famigerato sillabario, del A fino al Z, “in un momento di sogni”, O “quando l’immaginazione ci allontana da noi stessi” diffondere in modo frammentario, sogni e chimere, per tutto il cosmo in un trucco allegorico e malevolo di quel sillabario conclusivo, pause, errori e ritocchi, finiti e ordinari.

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José Enrique Garcia. (disegno di Luis Ernesto Mejía).

E

Raggiungere, sentire, sentire

un corpo che finisce all’improvviso

nell’aria definitiva.

palpitazioni,

piagnucolare

la spinta naturale del sangue

ora sereno.

Si tratta comunque di un’offerta

degli dei che non rinunciano al loro ufficio

perseguitare le creature umane.

Chi ignora questo destino?

Dove sciogliere quel nodo dell’origine?

Noi, uomini e donne,

forse è in noi

in un momento di sonno,

o quando l’immaginazione ci allontana da noi stessi.

Luis Ernesto Mejía su Acento.com.do

 
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