Calle Don Bosco, un centro commerciale unico dove storia e architettura si mescolano

Calle Don Bosco, un centro commerciale unico dove storia e architettura si mescolano
Calle Don Bosco, un centro commerciale unico dove storia e architettura si mescolano

È giornalista, ingegnere civile e professore presso l’Universidad Nacional del Sud in materie legate al patrimonio architettonico e all’urbanistica. Ha pubblicato articoli sulle riviste Propiedad, Todo es Historia, Obras & Protagonistas e Summa +. Partecipa a diversi micro radiofonici riferiti alla storia di Bahía Blanca. In due occasioni ha ricevuto la prima menzione dell’ADEPA nella categoria Cultura e Storia.

“Riconosce una lunga balaustra,/i tondi di un balcone di ferro,/un muro irto di pezzi/di vetro. Nient’altro. Tutto è cambiato”. Jorge Luis Borges, “1929”

Don Bosco è una via molto particolare. Da un lato perché sembra “lontano dal centro”, pur essendo a soli 15 isolati da Plaza Rivadavia. È largo quanto un viale, infatti funziona come tale per gran parte della sua lunghezza, ed è uno degli ingressi principali alla città.

A ciò si aggiunge la sua particolarità di essere un grande centro commerciale, che si sviluppa nei suoi isolati, con una varietà di proposte dove spiccano i servizi legati alle automobili e alle moto.

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È la strada che fino al 1948 si chiamava Río Colorado. Quell’anno cambiò nome in memoria di Giovanni Melchiorre Bosco (1815-1888), un laborioso prete cattolico, creatore dell’ordine salesiano, popolarmente noto come Don Bosco.

Percorrerlo è una sfida diversa, dove l’architettura ha qualcosa da dire. Con i loro diversi stili, materiali, stampe e marchi.

È una strada piena di dislivelli, che si scopre percorrendola con un ritmo diverso, con altri occhi, con altri tempi. Guardando in alto, in dettaglio, verso l’interno.

due angoli

Disabitato, dopo essersi spostato di pochi metri dal luogo, è rimasto l’edificio della farmacia che porta il nome della via. Con alcuni tratti art déco nella finitura, mantiene la struttura in ferro che sosteneva una tela o una tenda da sole e la cornice di un poster inesistente.

L’edificio conserva l’originaria struttura di accesso, attraverso l’ottava curva, le sue aperture spartite con architrave in lamiera e filia vetrata.

A pochi metri dal locale, la sede del club El Danubio, un classico del quartiere. Lo scudo sul fronte indica i colori bianco e verde che identificano un’istituzione fondata il 1 aprile 1951 e che al momento della sua creazione gli amministratori si proponevano di “fare grande questo piccolo anello di quartiere, per il piacevole e cordiale incontro di “ Ogni tramonto, che unisce gli amici, dimentica i rancori e rende gioioso il momento dell’espansione.” Uno spazio apprezzato per il suo significato storico e culturale, un locale di quartiere prezioso.

Specifico del luogo

Non manca mai la casa del chorizo, un blocco appoggiato ad uno dei muri di partito, una porta d’ingresso che immette in un ballatoio che percorre tutte le porte delle stanze allineate. Sopra la linea comunale c’è il muro, che in questo caso è cieco e non permette di sbirciare nel cortile antistante e l’immancabile porta a vetri.

Come accade in alcune strade della città, prima della pavimentazione esistevano delle abitazioni che seguivano nella loro ubicazione un riferimento che poi non coincideva con il livello della strada. Don Bosco ha quella rete di sentieri sopraelevata rispetto al cordone, che obbligava alla costruzione di gradini per superare i dislivelli.

I dettagli costruttivi che si rilevano camminando esprimono forme d’altri tempi. È il caso dei balconi con le loro sbarre di ferro lavorato e, in basso, una modesta grata che ventila lo spazio vuoto sotto i pavimenti in pece. Alle finestre le classiche persiane in metallo con alcune loro parti mobili, per spiare la strada.

Cancello e grata, particolari costruttivi

Le lamiere smaltate, quelle in ceramica, quelle in acciaio e il nome perduto di Río Colorado che si nasconde dietro un aggiornamento manuale.

In uno strano posto, lontano dall’angolo, appare questa targa secolare che indica il nome della strada “Pte Roca”. È la strada che attraversa Don Bosco, a circa 40 metri da quel luogo.

Le case con mattoni a vista che non sono mai stati intonacati costituiscono una sorta di anello mancante. Perché l’opera dei mattoni, di spigolo, quelli che sporgono disegnando aggetti, sono predisposti a ricevere l’intonaco e diventano così decorazione, ornamento. Si tratta di un campione del lavoro precedente rimasto, in questo caso, incompiuto.

La street art presente in questa strada, il murales all’angolo. Che trasmettono un messaggio, o forniscono un colore, che cerca di aggiungere qualcosa di diverso al paesaggio urbano, i disegni sulle porte sbarrate.

Venecitas, guardie e fontane

Due materiali tipici degli anni ’60: la venecita, piccola ceramica colorata derivata dal mosaico veneziano, un rivestimento materico vetroso realizzato con materie prime che fondono ad alte temperature, incorporando in questo processo il colore.

Piccolo giallo veneziano, nobile e resistente

Da segnalare invece la presenza del fulgetto, rifinito con piccole pietre che permettevano il traino delle guardie. Bisogna cercarli, perché sono sempre lì.

Non si tratta solo di alzare lo sguardo quando si cammina per la città. Guardarsi dentro permette di scoprire i patii che prendono vita, con piante e fiori, aggiungendo una fontana o una statua. Una banca. Il luogo che favorisce il riposo e il raccoglimento, l’anticamera della casa.

Il commercio da marciapiede, un chiosco a pagoda e la polizia a colori

Una situazione spesso ripetuta nelle strade, nel contesto di un gran numero di attività commerciali, è l’uso dei marciapiedi come estensione delle attività commerciali. Un panorama comune a tutti i quartieri e che cerca di incoraggiare gli acquirenti e quindi migliorare le vendite in un momento, come tutti i tempi in realtà, di tempi magri e di pochi soldi.

Sorprende la presenza di un chiosco metallico. Così lontano dal centro. Fa parte delle attrezzature collocate all’inizio del secolo e colpisce che sia stato inserito nei quartieri.

Chiosco di lamiera in piazza Rivadavia, 1928

Si chiamavano chioschi a pagoda e negli anni ’40 alcuni di essi furono sostituiti dai cosiddetti “chioschi delle barche”. Ma molti sono sopravvissuti. Alcuni sono stati addirittura salvati negli ultimi tempi. Quello di via Don Bosco è poco meno di un rudere. Non sarebbe una cattiva idea recuperarlo, valorizzarlo, trovargli un utilizzo o una destinazione.

Intorno al 1800 si trova la Quinta Questura, realizzata alla fine degli anni ’60. Un palazzo dal sapore rinascimentale italiano, con archi a sesto acuto e lesene che incorniciano le aperture. Sul marciapiede c’è un pennone che, a differenza della maggior parte di questi elementi sparsi per la città, ha posta la sua bandiera.

El Maldonado, la tanto attesa ferrovia e il Passaggio di Venere

Il ponte sul torrente Maldonado nei pressi di Don Bosco fu uno dei primi costruiti su quel corso d’acqua. L’opera fu inaugurata nel 1932, come parte integrante della strada per Cuatreros (oggi General Cerri).

Nonostante fosse costruito in cemento, fu colpito dall’alluvione che quel corso d’acqua ebbe nel 1933 – una delle più importanti del XX secolo – costringendo importanti riparazioni. L’attuale struttura risale al 1949, nell’ambito della canalizzazione del torrente che ne costrinse l’adattamento.

Nell’ambito della “cintura di ferro” che, come un corsetto, cinge l’impianto urbano, Don Bosco è attraversato dai binari di quella che era la ferrovia da Buenos Aires al Pacifico, originariamente chiamata Bahía Blanca a Nordovest. Questo passaggio a livello conserva testimonianze distrutte dei tempi passati, quando da queste parti transitavano i treni diretti a La Pampa, le prime stazioni furono quelle di Villa Bordeu e Villa Olga.

Stazione Nord Ovest, Sixto Lapiur e Roca.

Nel suo percorso verso la città di Realicó aveva sei incroci che gli permettevano di aggiungere altre destinazioni.

Nel luogo restano quelli che erano i posti di guardia – vandalizzati, bruciati, dimenticati -, il sentiero prima dell’attraversamento che richiedeva un cambio di passo per prestare attenzione al possibile passaggio del treno e alcuni segnali. Vestigia di un’epoca e di un sistema di trasporti fatalmente perduti.

Finalmente un grande appezzamento di terreno, ormai senza destinazione da decenni. Nella sua apparente condizione vacante, questo spazio è stato proposto per essere dichiarato patrimonio culturale dell’UNESCO. È in quel sito, nel 1882, che il gruppo di scienziati tedeschi che scelsero Bahía Blanca installò la loro imponente stazione astronomica per registrare il transito del pianeta Venere davanti al Sole, fenomeno che permetterebbe importanti calcoli legati alla distanza di il nostro pianeta da portare a quella stella

Stazione astronomica tedesca, 1882

Il transito di Venere davanti al Sole

Come al momento di scattare questa fotografia illustrativa, anche il giorno del fenomeno celeste era nuvoloso e le misurazioni effettuate hanno potuto registrare parti di quel passaggio, quando a tratti si poteva osservare il Sole. Da qualche parte su quel terreno i tedeschi seppellirono una scatola di piombo con documentazione ed elementi utilizzati nel loro lavoro, una testimonianza che attende ancora che qualcuno la rilevi e la recuperi.

Finale

“Queste strade (…)/sono già il mio nucleo./Non le strade ansiose,/scomode per la folla e il trambusto,/ma le strade svogliate del quartiere,/quasi invisibili perché frequentatrici,/mosse dalla penombra e dal crepuscolo “ Jorge Luis Borges, Le strade.

Don Bosco è una strada che si pensa veloce, molto trafficata, con l’aria di un viale. Bisogna percorrerla per scoprire l’altra strada, quella delle case, dei cortili e dei colori. È la città che non guardiamo, gli isolati che, come scrive Borges, diventano “quasi invisibili perché abituali”.

 
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