Il limite dubbio tra colpa e risentimento

Il limite dubbio tra colpa e risentimento
Il limite dubbio tra colpa e risentimento

Se guardassimo in prospettiva la narrativa di Sergio del Molino, osserveremmo un viaggio, chissà se reversibile, dall’autofiction alla pura finzione. Si è avvicinato alla fama con un libro straziante e di prossima uscita, L’ora violaproseguito con un impegno per un’intimità radicale (La pelle) ed è entrato in politica con Un certo Gonzalez, dove lo stesso Del Molino continuò a svolgere un ruolo fondamentale. In tedeschi Si afferma come narratore grazie a un romanzo autentico, dove l’autore non compare da nessuna parte. Infatti il ​​processo creativo è esterno all’opera, non esiste metanarrativa. Come i romanzieri classici, prende una parte sconosciuta ed emozionante della storia e la trasforma nella sua opera.


Alfagura (2024). 336 pagine

tedeschi

Sergio del Molino

La sua abilità narrativa è evidente fin dalle prime pagine, quando ci introduce con disinvoltura in un mondo difficile da comprendere come quello di una colonia di tedeschi che lasciò Africa e finì nel Saragozza, integrandosi pienamente nella città ma, allo stesso tempo, mantenendo la propria indipendenza. Non ci sono quasi sottolineature: si inizia con un funerale e, contemporaneamente all’avanzamento della trama, si viene a conoscenza della costellazione familiare dei personaggi, del loro ambiente sociale e dello strato più superficiale della loro storia. Come tanti incidenti dimenticati, la storia dei tedeschi di Camerun Era lì, in attesa che qualcuno lo prendesse. Avrei potuto optare per un romanzo storico, ma, sebbene lo storico sia rilevante, la cosa fondamentale è come incide sull’intimo. Sotto questo aspetto, il trattamento delle complicità degli antenati dei personaggi ricorda quello fatto da Ishiguro In Ciò che resta della giornata, il suo capolavoro. È la cospirazione a guidare la trama, ma il centro del romanzo si trova altrove, nelle inevitabili difficoltà di ogni esistenza, nella quale, come ho detto Gil de Biedma, la vita è seria. In effetti anche il finale, con tutto quello che omette, mostra il primato dell’emotivo.

Le voci sono diverse, ma anche simili, perché condividono un mondo. È una differenza sottile, forse sbiadita nella traduzione, percepita solo da un lettore attento, ed è uno dei grandi successi del romanzo. Si espande solo quando prendono la parola i costruttori israeliani, così estranei al nucleo familiare. La polifonia aiuta l’ambiguità morale di questo romanzo, che non è tanto nel non optare per alcuna posizione quanto piuttosto nel mostrare l’estrema difficoltà di farlo.

Il gioco delle voci e la selezione dei momenti in cui quelle voci parlano ci permette di comprendere chiaramente il complesso. Mostra la difficoltà di ogni processo, i mille colpi di scena della storia, qualcosa che già appariva nel suo romanzo precedente, la biografia romanzata di Felipe Gonzalez. Nessuno ha ragione in questo romanzo, motivo per cui è così vicino alla realtà. Approfondisce inoltre un aspetto fondamentale, tipico di ogni famiglia, ma soprattutto delle famiglie danneggiate dal desiderio: la distanza tra la storia monumentale, l’epopea che ci raccontiamo, sia su noi stessi che sulle nostre famiglie, e la storia vera, molto più squallida ma anche più vicino alla terra. Che la famiglia del protagonista renda compatibile la produzione di salsicce con l’epopea teutonica non è un caso. Accentua il contrasto, il bisogno profondamente narcisistico di grandezza. E da quel desiderio nasce la rovina. La famiglia mente o è una questione di sopravvivenza, di adattamento alla realtà e di adottare la versione migliore di fatti sempre dubbi? Chi lo sa.

Nella parte finale, quando i dilemmi emotivi, anche politici, dei protagonisti diventano estremi, quando la loro trama di segreti e bugie diventa più notevole, Dal Mulino approcci Javier Marias, pur senza perdere il suo stile, molto più sobrio e meno dedito a infinite subordinazioni. Come la tanto desiderata Marías, compie una magnifica esplorazione dei limiti dei sentimenti, per esempio di quel confine incerto tra colpa e rancore, così comune nei conflitti familiari.

Come culmine, ha un finale elegiaco, che rimette al loro posto l’essere umano e le sue minuzie, in cui riverbera uno dei finali migliori della storia della letteratura, quello di La morteDi Joyce: “…come piange la terra, senza darsi importanza, lasciando che l’acqua porti via i suoi sedimenti e permetta alle civiltà di fiorire pacificamente sulle sue sponde, portando via anche le sue rovine quando si sgretolano, disciolte come i morti in un cimitero tedesco che un giorno anche lui sarà distrutto.” Si diluirà a valle, e rimarranno solo i tigli, i tigli eterni che non fanno ombra a nessuno.

 
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